00 14/10/2007 19:29
Cecenia: il dramma invisibile


Francesca Sforza
con Luca Sebastiani

L’infinita questione cecena è sempre stata il termometro della democrazia russa. Da tempo, però, della guerra in Cecenia si parla sempre meno. Eppure l’assassinio, esattamente un anno fa, della giornalista Anna Politkovskaïa, impegnata nella denuncia della politica caucasica di Putin, ha reso chiaro che la situazione è ben lontana dall’avere imboccato la strada di una soluzione.
Ne abbiamo parlato con Francesca Sforza, ex corrispondete da Mosca per la Stampa, che alla Cecenia ha dedicato il libro Mosca-Grozny: neanche un bianco su questo treno. Viaggio nella Cecenia di Vladimir Putin (Salerno Editrice; Caffè Europa ne ha parlato qui).

Come mai della Cecenia si sente parlare sempre meno?

Non se ne sente parlare perché, semplicemente, “non esiste”. La guerra è circondata da un silenzio che, nel caso dei russi, può anche essere comprensibile, molto meno nel caso della comunità internazionale, nel caso dei governi che continuano a tacere.
L’omicidio di Anna Politkovskaïa il 7 ottobre di un anno fa ha contribuito a risvegliare una certa attenzione, un certo interesse per quanto sta accadendo in Cecenia ma, diciamo, che al momento non c’è proporzione tra l’interesse accresciuto e più attivo dell’opinione pubblica e quello dei governi. I nostri rappresentanti continuano a non chiedere conto, a non porre a Putin il problema ceceno negli incontri internazionali, nei summit che potrebbero essere, invece, proprio l’occasione per farlo. Direi che è la manifestazione dello scollamento che c’è tra opinioni pubbliche e governi.

Come mai questo atteggiamento dei governi occidentali?

Da una parte, per i governanti dei paesi europei in particolare e occidentali in generale, andare a chiedere conto alla Russia di una questione così spinosa come quella cecena rappresenta un vero problema; in ballo ci sono grossi investimenti e politiche di collaborazione e di partnership in settori strategici dell’economia.
Dall’altra c’è stato anche un avallo ufficiale della politica putiniana in Cecenia, degli Stati Uniti in primis. Fu Colin Powell, quando era Segretario di Stato, a riconoscere che il problema ceceno era un fatto interno alla Russia e di conseguenza si ritiene buona creanza non intervenire in casa degli altri, nei fatti interni di un’altro paese. Così come la Germania non accetta un intervento sui propri salariati, allo stesso modo la Russia non accetterebbe un intervento sulla Cecenia.

Perché questa concessione da parte degli Stati Uniti?

Diciamo che ci fu una specie di scambio. Era il periodo dell’11 settembre e del grande fronte della lotta al terrorismo. La Russia entrò nell’alleanza ed ebbe in cambio il riconoscimento da parte della comunità internazionale della guerra in Cecenia come fatto di politica interna.

Come è percepita la guerra dai russi?

Bisogna considerare che in Russia non c’è un movimento d’opinione sufficientemente forte da farla diventare una questione di politica interna. In pochi se ne interessano e le parti dell’opinione pubblica e dei media sensibili al problema vengono invitate, con metodi spicci, a tacere. A questa situazione bisogna aggiungere che la maggior parte dei russi ha dei ceceni un’opinione pessima, li considera essenzialmente taglia gole e banditi.

Alcune denunce sul pericolo che corre la democrazia in Russia sono arrivate anche da ambienti e istituzioni internazionali.

Sì, diciamo che ci sono state delle prese di posizioni isolate che però non hanno mai toccato nello specifico la spinosa questione cecena. La Merkel è l’unica che ogni tanto rappresenta la questione a Putin, ma mi sembra che non serva a niente.

Anche la Francia di Sarkozy ha impresso una svolta nelle relazioni con Mosca.

Un cambiamento di rotta c’è anche stato, ma personalmente ci vedo un certo tratto naïve. Certo la Francia è senz’altro uno dei paesi più impegnati, André Glucksmann è uno degli oppositori più autorevoli di Putin, però da qui a un intervento vero ce ne passa. In realtà credo che non ci siano spazi per un intervento esterno. Credo che purtroppo la situazione sia destinata a rimanere così, perché può evolvere solo dall’interno.

Negli ultimi mesi la Russia ha lanciato una serie di segnali che indicano una volontà di riarmo. Una nuova diplomazia della forza?

Sono senz’altro dei segni che la Russia lancia all’Occidente per mostrare d’essere ancora quella grande potenza che nella storia è sempre stata. Allo stesso tempo non enfatizzerei queste manifestazioni di prove di forza in una direzione conflittuale con l’Occidente. Un esempio per tutti: quando la Russia ha proposto agli americani di mettere le loro basi in Azerbaigian. È un fatto che dimostra una certa flessibilità sul fronte internazionale. La Guerra fredda è finita. È vero che con l’allargamento della Nato a Est i russi si sentono accerchiati, ma è vero anche che cercano le soluzioni per uscire da questa situazione. Certamente la Georgia è un problema, certamente l’Ucraina è un problema, ma perché ancora oggi la Russia ha una questione irrisolta con l’integrità territoriale, cosa comprensibile.




da: www.caffeeuropa.it/unione/329sforza.html


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