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"Tu e io saremo sempre in tre."

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    Fehrer
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    00 04/11/2016 18:56
    Elysiane, Fehrer

    Riassunto:

    Dopo l'evento che hanno vissuto, i due sono tornati assieme. L'intesa, il contatto, il liquore e gli animi alleggeriti dalla sottile magia del luogo hanno creato un'occasione che l'uomo e la donna non hanno potuto mancare: a metà fra tarda notte e prime luci dell'alba, si sono risvegliati assieme e, ricordando i fatti vissuti, hanno compreso.

    Commento:

    Non è facile commentare roba del genere, semplicemente perché non è facile giocarla per bene.
    Quando, però, si riesce - coerentemente coi propri pg - a creare una storia credibile, si capisce di poter tentare. Se ne è parlato, sembrava un'idea fattibile, si è detto quindi: "proviamo."
    E ora... vediamo dove andremo a finire.


    ELYSIANE [ . Stalle . ] Nero. Tutto nero. Questo è ciò che vede la Dama del Lago non appena i suoi occhi si aprono: lo sguardo corre al soffitto in cerca delle familiari crepe che abitano nella sua stanza, eppure non le trova. Con un grugnito, si passa la mano sul viso per scacciare ogni sintomo di stanchezza ma non c’è la pelle ad attenderla, bensì del pizzo nero. Con un sobbalzo, si mette a sedere, tastandosi il capo e ritrovandosi fra le mani una parrucca rossa e scarmigliata, traboccante di fili di paglia. Le palpebre si chiudono di scatto come fossero serrature e la mente tenta di far riaffiorare ciò che è successo qualche ora prima: immagini sfocate di un sontuoso salone vengono proiettate nel buio, accompagnate dall’eco di risa lontane che sfidano l’acufene. Il ballo! Finalmente frammenti di passato si fanno precisi e danno un senso agli accessori bizzarri che la Romana si ritrova addosso nonché al malessere generale che pare colpirla: vivido è il ricordo di mani grandi che le allungano deliziosi calici di vino e di liquore, dolce è il sapore del nettare degli Dei che scorre giù per la gola. Quella di Elysiane, però, ora è riarsa e brama disperatamente almeno un goccio d’acqua. Ma perché la paglia? Il borbottio solitario di una gallina funge da risposta: alla Sacerdotessa basta ruotare il collo per comprendere di aver giaciuto nella stalla e con un sorriso liquida la faccenda, comprendendo che doveva essere davvero troppo provata per percorrere l’intero corridoio sacerdotale. Un brivido le fa inarcare la schiena e le mani scivolano verso il basso, in cerca della stoffa cremisi del meraviglioso abito indossato per coprirsi. Purtroppo per lei, non c’è traccia di stoffa a coprire le sue grazie. [ Ma che.. ] Sussurra nel buio, socchiudendo le iridi per abituarsi al buio e per cercare il vestito che pare essersi volatilizzato; che diamine le è successo? Non è da lei – madre e donna di fede – assopirsi nuda in una stalla. Il chiarore della luna penetra nella stanza umida e carica di odori forti, permettendo alla Mediterranea di intravedere accanto a sé ciò che stava cercando; la mancina afferra indi un lembo della veste per tirarla a sé, trovandola, però, impigliata sotto qualcosa di davvero enorme. Ma cosa? Con un sospiro, Elysiane si prepara a scoprirlo: inclina il busto svestito in avanti ma perde l’equilibrio, finendo col senso scoperto sopra ad una superficie morbida, liscia e rosea. [Oh. ] Dunque non ha giaciuto lì da sola. Tutto inizia ad avere un senso. Tentando di non far troppo rumore, la Somma Stella si rimette a sedere, dunque si sposta quel tanto che le basta per permettere a Selene di rischiarare il profilo dello sconosciuto: biondo, massiccio e profondamente addormentato egli si presenta agli occhi gonfi e deboli della ragazza, la quale ci impiega abbastanza per risalire all’identità del suo amante. Quando ci riesce, tuttavia, non può far a meno di soffocare un urlo.

    FEHRER [Tempio - Stalle] E' stata una notte particolare. Una notte innaffiata dall'alcool; e un prosieguo incentivato dalla magia della Porta del Ballo, che ha acuito la galanteria e spronato l'intraprendenza, e da un istinto latente. La coscienza del Nero s'è letteralmente - e poco a poco - liquefatta, obnubilando la presa forte del Demonio e donando all'Uomo una parvenza di requie: ha dormito e l'ha fatto a lungo, della grossa, senza che la coda biforcuta della Bestia gli schiaffeggiasse le pareti del cranio, rammentandogli che l'Incubo, presto o tardi, riprende. Com'è usuale, dorme nudo. L'inusualità sta nel fatto che dorme nudo in un ambiente presso il quale non dovrebbe dormire nudo; e accanto a una donna con la quale non dovrebbe dormire nudo. Il Lupo Bianco ha un respiro pesante. Non dà fastidio né risulta essere sgarbato: è ritmato e regolare e, se la giovane là di fianco non fosse straordinariamente a disagio e straordinariamente nel panico, potrebbe utilizzarlo per riprendere sonno a sua volta, quietata come accade coi temporali estivi, profondi e vibranti - eppure rassicuranti. Fehrer ha le ampie spalle scoperte: fortunatamente per Elysiane e per chi descrive, ogni nudità è celata così dalla mole del Barbaro, il capo rivolto verso la direzione opposta a dove sta la Somma, celato da una massa assai folta e scarmigliata di capelli color del grano. Per ora, il Colosso pare non essere pronto a svegliarsi: ha un braccio incassato al di sotto del volto e l'altro slanciato là dove guardano, ciechi, gli occhi chiusi. La schiena dell'uomo, pur se rischiarata a malapena dai raggi lunari, mostra una geografia di cicatrici, lividi - alcuni vecchi, altri recenti - e segni che si rincorrono l'un con l'altro: vi si potrebbe ricalcare il percorso con le dita e attribuire loro un senso che non sia dolore, guerra e fatica, ma risulterebbe improbo e totalmente inutile. Dorme. Dorme ancora, lui.

    ELYSIANE [ . Stalle . ] Fehrer. FERHER. La ventunenne si accorge che ha smesso di respirare solo quando sente un bruciore ai polmoni: è allora che si concede un respiro forzato e tremolante che si conclude con un fischio a causa della raucedine. Chi la vedesse, la troverebbe alquanto buffa: completamente svestita, se ne sta accucciata su un cumulo di paglia perfettamente immobile, con la fobia più totale di ruotare il capo in direzione dell’uomo disteso al suo fianco. il respiro regolare dell’Ishtuk è la sola frequenza che pregna l’aria circostante ed ogni ispirazione ed espirazione che abbassa le spalle larghe del Nordico è come una coltellata nel ventre della Sacerdotessa. Con molta cautela, si impone di girare il volto, lottando contro sé stessa con tutte le forze che ha in corpo: l’imago che le si para dinnanzi è sempre la stessa ed ogni secondo che passa diviene più insostenibile. Alzando gli occhi al cielo si volta di scatto, imprigionando la faccia fra le mani ed attenendo delle lacrime che sembrano essersi impigliate negli occhi. Dannazione. [ Stupida, stupida, stupida! ] Gracchia fra sé, arrivando persino a percuotersi le gote con dei sonori ceffoni i quali, incredibilmente, non svegliano il Cavaliere dei Draghi. La Romana si sforza di bloccare ogni ricordo risalente ad un paio di ore prima ma la sua rete di salvataggio sembra avere qualche buco: difatti, immagini di corpi allacciati e suoni di gemiti sommessi le rinfacciano la sua negligenza, costringendola ad alzarsi in piedi di scatto avendo la premura di afferrare il vestito e premerselo contro le nudità senza infilarlo. Ha ancora la parrucca sul capo che pende un po’ troppo verso sinistra e persino la maschera è calata sul viso sconvolto. Né il passato né il presente paiono confortevoli per la Granger che decide di darsi la fuga. Purtroppo per lei, l’equilibrio dopo una decina di calici non è dei migliori: il piede scalzo rimane impigliato in un cumulo di fieno sbattendo la ragazza rovinosamente a terra, la faccia sepolta nella paglia. La parrucca è scaraventata poco lontano ed il dorso e le natiche di Elysiane sarebbero in bella vista se non fosse buio, facendola somigliare a ciò che si sente: una puttana.

    FEHRER [Tempio - Stalle] Stranamente, il suo è un sonno senza sogni. Generalmente tormentato, pur dormendo, dal Principe degli Inferi, stanotte - le briglie sciolte dai molteplici calici vuotati e l'adrenalina e l'eccitazione sgonfiate tutte d'un tratto, sfiancandosi assieme ad altra carne viva - il buio è buio, la paglia è paglia e il silenzio è silenzio. A proposito di silenzio: piccoli rintocchi di vita bussano alla porta della coscienza dell'uomo dei ghiacci, che stringe gli occhi, stende le gambe e apre le spalle come fosse un grosso leone rinvigorito dal riposo, e ormai pronto per dominare le prime luci dell'alba. Rumori. Soffocati e indistinti, ma non per questo inudibili: all'Alfiere, alle prese col risveglio, giungono ovattati e confusi, ma gli fanno tendere l'udito e aguzzare l'istinto, che già lo rende mentalmente armato e pronto a menar le mani. Dentro di sé, infatti, tastando alla cieca le condizioni del proprio spirito e della propria comunanza col Demonio, scopre di non dover guardare troppo nel profondo: dev'essersi ubriacato o qualcosa del genere, e dev'essere finito in un qualche luogo apparentemente sconosciuto. Nella penombra quasi totale, la mano destra si muove meccanicamente in cerca di qualcosa che la testa, poi, restituisce sotto forma di immagine: una delle due spade. Ma no. Il ballo. Non era armato. Bestemmia a bassa voce, utilizzando chissà quale atroce, sporco linguaggio, emergendo poco a poco dal buio e adattando le pupille alla semioscurità delle... stalle. Del Tempio. Bestemmia di nuovo, e di nuovo è volgare - e, grazie agli dèi, incomprensibile. Sbuffa, provando a trarsi su a sedere, quando sobbalza un poco per via della caduta di una figura che non riesce a inquadrare. L'aggredirebbe a suon di schiaffoni, calci e perfino morsi se non fosse che le curve restituite dalla vista gli restituiscano decisamente l'immagine di una donna. Riflette, senza riuscire a vederle il volto o a fare chiarezza, mettendo i palmi in avanti come a schiarire i pensieri. Dentro, il Drago ghigna, famelico e rumoroso, senza osare svelargli l'arcano per non perdersi il divertimento tutto in una volta. Elysiane dovrebbe aver lasciato delle tracce, dietro di sé. Forse la maschera. Forse la parrucca. Forse il vestito, forse altri accessori. Qualunque cosa abbia abbandonato la sua giovane compagna di notte, dovrebbe far suonare un campanello d'allarme nella mente del Barbaro: non ha forse ballato con una Fenice? Non le ha forse offerto ripetutamente da bere, bevendo a sua volta? E non l'ha forse presa, sulla via del ritorno, concedendosi a una pulsione urgente e più che mai pressante? I ricordi tornano. Poco a poco, piccoli spilli gli trafiggono la coscienza. Apre la bocca, ma non parla. La guarda, ma non la vede. [Voltati...] mormora, stavolta strascicando le parole affinché lei le comprenda.

    ELYSIANE [ . Stalle . ] Quando il viso riemerge dalla paglia, la maschera si scolla dalla pelle cadendo dinanzi a sé e finendo nel campo visivo del suo sguardo. Come tentando di liberarsi del suo lussurioso alter-ego, la ventunenne raccoglie quell’ammasso di pizzo e lo lancia lontano, ove anche la parrucca è finita. Non si cura di svegliare gli animali, non le importa persino di disturbare le sue Sorelle. Si sente ferita come un animale e si sa che le bestie sanguinanti sono aggressive. Poggia i palmi delle mani a terra, facendo forza sui bicipiti e staccandosi una volta per tutte dal fieno, il quale verrà scrollato dal corpo nudo con movimenti scattosi. Tenta di rilassare il collo e le spalle, stringe i gomiti contro il dorso per stringere le scapole ed allentare la rigidità della schiena. Seduta a gambe incrociate in mezzo al buio, si rende conto solo in quel momento che il barbaro si è svegliato; questa volta non lo degna di uno sguardo, continuando a liberare la stoffa del magnifico abito dai residui di fieno. La voce impastata di Fehrer le percuote violentemente l’oto, costringendola a serrare i pugni sino a far sbiancare le nocche; ricorda la figura imponente di lui chinarsi sul volto arrossato e raggiante della Fenice per attirarlo a sé. [ Va' all’inferno. ] Ringhia a denti stretti, rischiando quasi di strappare la veste, quindi riacquista il controllo di sé quel tanto che basta per iniziare ad infilarsi l’abito. In realtà, l’imprecazione più che all’Isthuk era rivolta alla sciocca ragazza che è stata, ancora incapace di essersi scordata di suo figlio e dei suoi doveri mentre era fra le braccia del suo amico. Del suo migliore amico. Del suo unico amico. Scuote la testa, cercando di liberarsi di ciò che è successo, con l’intenzione di cacciarlo in un angolo della sua mente e lì murarlo per sempre. Per mesi e mesi il volto di Roseline è sfuggito alla sua memoria provata da decine di addii ed ora i lineamenti duri ed algidi della ex Reggente la osservano con disprezzo da ogni dove, ricordandosi quanto piccola e debole sia la Guerriera del Tempio.

    FEHRER [Tempio - Stalle] L'Alfiere Nero, invece, la guarda. Se la stampa nella mente, tentando di ovviare con nuovi particolari della sua immagine ai vuoti di memoria che tuttora manca della capacità di riempire. Sbatte lentamente le palpebre, come lentamente apre e chiude la mano destra, soffocando sul nascere qualsiasi volontà ingarbugliata come anelli alle dita. Un anello c'è. Al pollice. Chiude gli occhi più a lungo e, sebbene non la guardi più, comprende che le uniche parole pronunciate dalla Somma non siano destinate a lui. E come potrebbe essere diversamente? Lui ci vive, all'Inferno. E dall'Inferno viene fagocitato nuovamente ogni notte, per esserne espulso con le braci dell'alba a incendiare il mondo. Il Lupo Bianco non si cura della sua nudità né di quella della giovane donna, e non dà peso neppure all'ilarità che scuote la gola scagliosa della Bestia. Naturalmente, dalla scomparsa di Roseline ci sono state altre piccole storie. Storie di una notte, intonse nel buio e ormai stropicciate al mattino; Elysiane è differente, poiché a Elysiane vuole bene. Elysiane è una sua protetta, e sa. Sa bene cosa stia provando ora il Colosso, che non accenna adesso un'altra singola parola. Immobile, seduto sul proprio mucchio di paglia - tuttora caldo, tuttora gravido della loro unione carnale -, si limita ad ascoltare in un silenzio di tomba il martellare del cuore, che tamburella all'interno del petto e nel fondo delle orecchie il proprio, mesto rimprovero. Gli spilli continuano a penetrarlo beffardi: ci vorrà ancora un po' perché il liquore consumi il proprio effetto, accontentandosi al momento di pungergli il centro esatto fra gli occhi, affinché la disapprovazione e il biasimo non siano mai abbastanza. Torna a osservarla. Perché lui non è l'unico animale ferito. Non è lui l'unico essere sanguinante: tanto più, non è lui l'unica creatura dalla gola secca, dalla testa vuota e dalla necessità impellente di sentire che tutto andrà bene. E che nulla cambierà. [Siamo stati deboli. E indeboliti] azzarda, la voce roca, stropicciandosi il volto.

    ELYSIANE [ . Stalle . ] Chissà perché si stupisce di vedere che il vestito le calzi a pennello: la scollatura a cuore si adatta perfettamente al suo seno ed il vitino da vespa è compensato da una larga gonna a ruota. Un abito incantevole, dev’essere per questo che ha vinto. Gli occhi scivolano sulla coppa che le pare quasi ridondante, dovendo però concedere a sé stessa che la storia della conciliazione potrebbe tornarle davvero utile; deve consegnarla ad Inwe, senz’altro. La risposta del Cavaliere dei Draghi la riporta alla realtà, al fatto fresco. Anzi, caldo. Gli dona ancora le spalle quando inarca il sopracciglio destro e storce la bocca in una smorfia disgustata. [ Deboli. ] Ripete melliflua, il tono basso e cupo di una lupa sul piede di guerra. Non deve essere aggraziata come qualche ora fa adesso che la parrucca rossa è sfatta sul pavimento ed i capelli castano ramati piombano sul viso sino a lambire la vita e coprendo la rasatura, donandole un aspetto quasi innocente. Gli occhi scuriti dal trucco si posano sul volto del Barbaro nascosto dalla semioscurità quando il busto ruota in direzione dell’uomo, un attimo prima di scoppiare in una risatina isterica. Incede di un paio di passi prima di proseguire a carponi, fermandosi il più vicino possibile al volto di Fehrer. Perfetto. Il mezzo metro che li separerebbe sarebbe perfetto per rompergli il naso con un pugno ben assestato ma non si muove, non prima di aver sputato tutto il veleno che sente sulla lingua. [ Proprio questo le dirò. “ Sai Rose, quando te ne sei andata hai lasciato un vuoto incolmabile dentro di me. Sì, è vero. “ ] Allargherebbe le braccia, mimando una sorta di impressione di impotenza. [ “ Ho fatto sesso col padre di tua figlia!” ] Questa confessione brucia come vetro sotto alla pianta dei piedi. [ “ Ma cos’altro avremmo potuto fare? Siamo così… deboli.” ] Rimane immobile, accorgendosi che la rabbia è scemata lasciando spazio ad una tristezza che non trova argini. Solo allora smette di fissare gli occhi chiari dell’Ishtuk, solo allora pare dar segni di cedimento. [ Io non mi perdonerò mai, Fehrer. Mai. ]

    FEHRER [Tempio - Stalle] Non si sottrae allo sguardo di brace di Elysiane. Perfino ora, perfino dinnanzi alla rabbia e alla disperazione altrui, l'espressione dichiara indolenza. E' talmente fredda e distante che sì, quel volto meriterebbe talvolta una sonora percussione. Non che non sia coinvolto, beninteso: il Lupo Bianco è perfettamente consapevole della potenzialità di ciò che hanno vissuto. Del resto, la notte che va trascorrendo potrebbe cambiare ogni cosa. [Potrebbe non tornare mai.] Non le sta rispondendo. Non si sta giustificando. Sta, niente più niente meno, spogliandosi. Perché, sebbene sia completamente nudo, ha tanti altri abiti di cui svestirsi. Le sue difese, i suoi pensieri, le sue paure. Una delle quali è stata appena lanciata oltre di sé: ha increspato la superficie immobile del ghiaccio, colpendo forte la barriera eternamente eretta attorno al suo cuore. Roseline. Qualcosa gli suggerisce d'averla ormai perduta. Lungi dall'Alfiere mortificare ulteriormente la propria coscienza, ch'è lucida e presente: egli ha giaciuto con braccia, gambe, fianchi differenti dai suoi, cercando nella carne e nel calore altrui la vicinanza ch'è venuta a mancare. E, senza rendersene conto, spinto dall'opera beffarda del Fato, è finito per approdare fra le braccia, le gambe e i fianchi di chi, Roseline, la conosceva assai bene. E' forse questo il significato del loro rapporto, fino a stanotte puramente amichevole? Completare vicendevolmente le tessere mancanti del mosaico, per appaiare i tasselli oscuri della persona amata da entrambi? Potrebbe essere. [Così...] esordisce, ormai dimentico del sonno, ma lasciandosi avviluppare dal rancore. Da un furore cieco, che per un istante soffoca l'azzurro degli occhi, mostrando l'intorbidirsi legato alla comparsa del Demonio: il bianco della sclera diventa, per un attimo impercettibile, nero. [Così credi di essere l'unica? Amavo Roseline. Amo Roseline] puntualizza, una smorfia rabbiosa a incrinare la piega della bocca. [Ho smesso di perdonarmi da molto tempo.]

    ELYSIANE [ . Stalle . ] Si pente immediatamente di quella vicinanza. Nonostante non possa vedere le iridi del Cavaliere dei Draghi mutare il loro colore, percepisce una sorta di energia negativa avvilupparsi attorno al corpo muscoloso dell’uomo, intimandole istintivamente di fare un passo indietro; coscienziosamente, Elysiane si ritrae, lasciando a Fehrer i suoi spazi e ristabilendo fra le righe il naturale ordine delle cose. Non sono mai stati così vicini, mai prima di questa notte. Legge la rabbia nascente sul volto dai tratti nordici e precisi e s’impone di ascoltare ciò che egli ha da dire, imponendo alle proprie labbra di sigillarsi sino alla fine del breve monologo dell’Ishtuk. Annuisce alle sue parole ma sente la testa pesante: ogni movimento le costa una fatica abnorme, le sembra di essere su una barca alla deriva. Senza rispondere allo sguardo del guerriero, si distende nuovamente sul fieno questa volta non di fianco a lui: poserebbe la nuca a poca distanza dai piedi dell’uomo, le mani intrecciate dietro quest’ultima per proteggerla dalla sozzuria del pavimento. Un pensiero fugace si insinua nella sua mente curvando gli angoli della bocca all’insù e lasciando trapelare un sorriso attraverso uno sbuffo gentile. Gli occhi verdi non cercano la sagoma che hanno abbracciato a lungo, preferendo la semplicità dello spoglio soffitto. [ Tu ed io saremo sempre in tre. ] Eccezion fatta per l’amore carnale; non fa questa precisazione, però, limitandosi a spegnersi in un mutismo che aiuta la rabbia a scemare.

    FEHRER [Tempio - Stalle] Scelta saggia, quella di Elysiane, di ritrarsi. E non perché egli sia temibile, pericoloso, violento: semplicemente, è bene che il mutamento dell'Alfiere scemi da solo, fissando il vuoto, piuttosto che immergendosi in egual furore. E quando passano il dolore e la frustrazione, in lui tutto si sgonfia: così com'era giunta, l'ira scompare; così come aveva macinato fiele, lo spirito s'acquieta. Resta il solo senso di colpa, che s'aggrappa ostinato alle caviglie: a quello, il Barbaro è abituato. Lo segue come un'ombra particolarmente scura e tenace, che finora nessun accenno di luce è stato in grado di vincere. Ma Elysiane è fuoco e, l'uomo lo ricorda, avviluppata a lui è divampata con l'intensità d'un sole austero. Avvertendo un brivido e senza sommare una parola che possa prendere commiato dalla coda dell'affermazione della Somma, il Lupo Bianco si dispone a una manciata di centimetri da lei, specchiando la sua posizione: difatti, il volto finisce per stare vicino a quello della donna, mentre il corpo punta la direzione opposta. Quasi guancia contro guancia, Gwynbleidd comprende il riferimento velato della giovane, ma non oppone alcuna parte di sé per smentirla o per darle ragione. Eppure, nel silenzio stesso del guerriero, la Stella dovrebbe cogliere centinaia di particolari. Piuttosto, muovendo la mano più vicina a lei, cerca di sfiorarle la testa, carezzandole i capelli. Se Elysiane ricorda anche solo una delle carezze della notte trascorsa, scoprirà in questa solo cauta dolcezza, e non desiderio urgente. Nelle dita, sta il bisogno di chiarire ciò che non esprime a parole.

    ELYSIANE [ . > Giardino . ] Si sente meglio e si odia per questo. Non è giusto che le spalle larghe di Fehrer la facciano sentire protetta, che la sua barba le scaldi la guancia, che il suo corpo le dia conforto. Lui non è suo. Se lo ripete almeno dieci volte e ad ogni appunto mentale si dà ragione. Il volto di Roseline è ancora lì, sospeso a mezz’aria, le sue mani pallide sono pronte a ghermire il collo della Romana per strozzarlo. Non è bello essere tristi e sbronzi: quando si lascia andare a briglia sciolta l’immaginazione, il senso di colpa può essere letale. Le basta chiudere gli occhi per immergersi in un abisso oscuro senza colori e senza suoni: silenziosamente, ella anela all’inglobamento in una dimensione priva di emozioni. Quasi ci riesce, rigida come un morto ed abbigliata con un abito sfarzoso, sembra pronta per un funerale. La mano di Fehrer fra i capelli, tuttavia, sfuma ogni suo tentativo di non pensare; certo che ha notato la differenza, chi non saprebbe distinguere un leone da un colibrì? E’ forse proprio questo dettaglio sguaiato la goccia che fa traboccare il vaso: calde lacrime scivolano giù per le gote, crepando un muro fino ad ora impenetrabile permettendo all’oceano di angoscia di lasciar andare qualche goccia. Si sente avvilita, vinta su tutti i fronti. Con movimenti misurati, si scosta dalle carezze dell’uomo e riacquista la posizione eretta senza parlare; si dirigerebbe indi verso l’uscita della stalla, chinandosi solo per raccogliere la coppa, la parrucca e la maschera. Li osserva uscendo e questi debbono aver parlato direttamente al suo cuore perché proprio sulla soglia la Sacerdotessa inchioda. [ Fehrer. ] Lo chiama; c’è incertezza nella sua voce, c’è tremore. Si volta e lo cerca: vorrebbe guardarlo in faccia, abbracciare il suo volto senza rancore. No, non può odiarlo, non è lui la causa principale del suo male. [ E’ stato molto.. ] Si blocca, danzando con movimenti ampi sul confine di non ritorno, optando per la ritirata strategica. [ Sono stata bene. ] Un’affermazione diplomatica, un sottointeso intuibile. Non vuole avvertire la risposta del Nordico – sempre che ce ne sia una – e si getta a capofitto nell’ombra nera dei Giardini Esterni, camminando a passo svelto. Sa di aver perso, di non essere riuscita a rigettare del tutto il piacere inaspettato di quel contatto. Sa di essere debole.

    FEHRER [Tempio - Stalle -> Altrove] Se Roseline è lì, a rimproverare entrambi, lui è il primo ad avvertirla. Ha giaciuto con ogni frammento di lei: ricorda ciascun particolare del corpo della mutaforma, qualsiasi dettaglio della sua espressione, qualunque piega presa dagli occhi quando erano l'odio, l'amore o il timore a inzaccherarle le vene. L'Alfiere non conosceva la devozione, la fiducia e l'affetto prima di incontrare la compagna: guardava ai sentimenti credendoli remoti e irraggiungibili, e si diceva che, se gli altri non sospettano un tuo dolore o una tua debolezza, quel dolore e quella debolezza non esistono. Dal giorno della sua scomparsa, ha scoperto di essere ripiombato nelle ombre e nell'incertezza: ogni cosa è familiare in modo intenso. Il Lupo Bianco, infatti, è rimasto qui ad aspettarla e ad aspettarsi. E tuttavia non gli è lecito trovarsi: nonostante l'ansia della ricerca, egli continua a non rispondersi. Pur dedicando a Elysiane una carezza che il boia destinerebbe illusoriamente al prigioniero di guerra, il Nith sonda con criticità la propria coscienza, senza vedervi l'abilità - che hanno alcuni - di rammendare gli animi. Non ne è in grado, Fehrer. Spiccica parole come se gli costasse caro, di rado esprime la bontà fiaccata dall'avvento del Demonio e, quanto alle doti compassionevoli e rassicuranti, il tutto si riduce alla sua presenza e alla sua vicinanza. Sa d'aver sbagliato, si assume le proprie responsabilità, ma non va oltre. I piedi danzano sull'orlo del baratro, rimanendo pur tuttavia inadeguati ad adottare una soluzione per attraversarlo e trascinare la giovane in salvo. La osserva con la coda dell'occhio. Fissa silenziosamente le sue lacrime e si incolpa; e, dentro di sé, piuttosto che lanciare un'ancora, la Bestia ride più forte. E' un'eco ridondante, la maledizione di Fáfnir, in virtù della quale, se non fosse abituato all'abisso dentro il quale s'è tuffato, perderebbe la Via, abbandonando se stesso. Non aveva forse ragione, l'Abietto? La carne è la carne, e nessun'altra dipendenza - se non quella fisica, nell'accezione più brutale del termine - crea. Il cuore non è che un orpello, col quale dimenticare talvolta di ornare la propria figura. Come è privo delle sue spade, accantonate momentaneamente in un angolo polveroso della stanza, così ha lasciato a invecchiare lo spirito, pur senza accorgersene; e dimentico di dove l'abbia perduto. Nulla compie per evitarle di andare. Si alza lentamente, rivestendosi poi di spalle: non prova vergogna per la propria nudità, no, ma le evita di osservarlo negli occhi, così che possa vagare altrove senza la necessità di incontrare ulteriormente il suo sguardo. Ma si ferma a metà dell'opera: la donna parla, guadagnandosi tre quarti del volto dell'uomo. Sulla soglia, biascica qualcosa, facendogli stringere fino a sbiancare le nocche il tessuto fra le mani. Ancora una volta, Elysiane è saggia. Va. Senza attendere una replica, scompare nelle tenebre, chiedendogli implicitamente di non fornirgliene una. Deve andar via. Riflettere. Scomparire per un po'.



    "Hai fatto un patto col Diavolo; e il Diavolo torna sempre a riscuotere."






    Yawp
    "...over the rooftops of the world."

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    Elysiane
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    Avalonese
    Utente Senior
    00 04/11/2016 19:03
    Una delle giocate più difficili della mia "carriera", sicuramente una delle più belle. Un grazie al player [SM=g27817]
    )O(





    The Golden Priestess
    )O( DAMA DEL LAGO )O(




    « Questa terra ha bisogno di Lei, noi abbiamo bisogno che tu sia Lei. Sii la nostra forza!. »




    Thug Pug