Sulla bruttezza e dintorni...

altrodase
00giovedì 9 ottobre 2008 19:24

Il politeismo della bellezza. Umberto Eco esce dieci minuti dalla tana

di Sergio Sozi


In un’epoca come la nostra in cui tutto è oggetto di “canonizzazione” sia in senso religioso, ma più ampiamente in ogni settore, compreso quello più frivolo dell’estetica personale, credo che proporre un testo come questo, induca a far riflettere su ciò che si considera brutto,sui parametri che muovono tale attribuzione e il convincimento che ne consegue di rifuggire ciò che qualcuno ha definito per noi sulla scorta di qualcosa che è soggetto alla volubilità. [Pagina 8]

Introduzione

In ogni secolo, filosofi e artisti hanno fornito definizioni del bello; grazie alle loro testimonianze è così possibile ricostruire una storia delle idee estetiche attraverso i tempi. Diversamente è accaduto col brutto. Il più delle volte si è definito il brutto in opposizione al bello ma a esso non sono state quasi mai dedicate trattazioni distese, bensì accenni parentetici e marginali. Pertanto, se una storia della bellezza può avvalersi di un’ampia serie di testimonianze teoriche (dalle quali si può dedurre il gusto di una data epoca), una storia della bruttezza dovrà per lo più andare a cercare i propri documenti nelle rappresentazioni visive o verbali di cose o persone in qualche modo intese come “brutte”.

Tuttavia, una storia della bruttezza ha alcuni caratteri in comune con una storia della bellezza. Anzitutto, noi possiamo soltanto supporre che i gusti delle persone comuni corrispondessero in qualche modo ai gusti degli artisti del loro tempo. Se un visitatore venuto dallo spazio entrasse in una galleria d’arte contemporanea, vedesse volti femminili dipinti da Picasso, e sentisse che i visitatori li giudicano “belli”, potrebbe farsi l’idea errata che nella realtà quotidiana del nostro tempo si ritengono belle e desiderabili creature femminili dal volto simile a quello rappresentato dal pittore.

Tuttavia, questo visitatore spaziale potrebbe correggere la sua opinione visitando una sfilata di moda o un concorso di Miss Universo, in cui vedrebbe celebrati altri modelli di bellezza. A noi, invece, questo non è possibile; nel visitare epoche ormai lontane, non possiamo fare verifiche, né in relazione al bello né in relazione al brutto, perché di quelle epoche ci sono rimaste soltanto testimonianze artistiche.

Un’altra caratteristica comune sia alla storia del brutto che a quella del bello è che ci si deve limitare a registrare la vicenda di questi due valori nella civiltà occidentale. Per le civiltà arcaiche e per i popoli detti primitivi abbiamo reperti artistici ma non disponiamo di testi teorici che ci dicano se questi fossero destinati a provocare diletto estetico, terrore sacro, oppure ilarità.

A un occidentale una maschera rituale africana può apparire orripilante - mentre per il nativo potrebbe rappresentare una entità benevola. Di converso, per l’appartenente a qualche religione extraeuropea potrebbe apparire sgradevole l’immagine di un Cristo flagellato, sanguinante e umiliato, la cui apparente bruttezza corporea a un cristiano ispira invece commozione.

Nel caso di altre culture, ricche di testi poetici e filosofici (come ad esempio quella indiana, giapponese o cinese), vediamo immagini e forme ma, traducendo sia pagine di letteratura che pagine teoriche, è quasi sempre difficile stabilire sino a qual punto certi concetti possano essere identificabili con i nostri, anche se la tradizione ci ha indotto a tradurli in termini occidentali come “bello” o “brutto”. E anche se le traduzioni fossero attendibili, non basterebbe sapere che in una certa cultura si intende come bella una cosa che esibisca, per esempio, proporzione ed armonia. Che cosa si intende, infatti, con questi due termini? Essi hanno cambiato senso anche nel corso della storia occidentale. È solo paragonando affermazioni teoriche con un quadro o una costruzione architettonica dell’epoca che ci accorgiamo che ciò che era considerato proporzionato in un secolo non lo era più nell’altro; parlando per esempio di proporzione un filosofo medievale pensava alle dimensioni e alla forma di una cattedrale gotica, mentre un teorico rinascimentale pensava a un tempio cinquecentesco, le cui parti erano regolate dalla sezione aurea - e ai rinascimentali sono apparse barbare e, appunto, “gotiche”, le proporzioni realizzate dalle cattedrali.

I concetti di bello e brutto sono relativi ai vari periodi storici o alle varie culture e, per citare Senofane di Colofone (secondo Clemente Alessandrino, Stromata, V,110), “se i bovi e i cavalli e i leoni avessero le mani, o potessero disegnare con le mani, e fare opere come quelle degli uomini, simili ai cavalli il cavallo raffigurerebbe gli dèi, e simili ai bovi il bove, e farebbero loro dei corpi come quelli che ha ciascuno di coloro”.

Nel Medioevo Giacomo da Vitry (Libri duo, quorum prior Orientalis, sive Hjyerosolimitanae, alter Occidentalis istoria), nel lodare la Bellezza di tutta l’opera divina, ammetteva che “probabilmente i ciclopi, che hanno un solo occhio, si stupiscono di coloro che ne hanno due, come noi ci meravigliamo e di coloro e di creature con tre occhi… Consideriamo brutti gli etiopi neri, ma tra di essi è il più nero che viene considerato come il più bello. “Gli farà eco secoli dopo Voltaire (nel Dizionario filosofico): “Chiedete a un rospo che cosa è la bellezza, il vero bello, il to kalòn. Vi risponderà che consiste nella sua femmina, coi suoi due begli occhioni rotondi che sporgono dalla piccola testa, la gola larga e piatta, il ventre giallo e il dorso bruno. Interrogate un negro della Guinea: il bello consiste per lui nella pelle nera e oleosa, gli occhi infossati, il naso schiacciato. Interrogate il diavolo: vi dirà che il bello è un paio di corna, quattro zampe a grinfia, e una coda”.

Hegel, nella sua Estetica, annoterà che “avviene che, se non ogni marito la propria moglie, per lo meno ogni fidanzato trovi bella, anzi esclusivamente bella, la propria fidanzata; e se il gusto soggettivo per questa Bellezza non ha alcuna regola fissa, questo si può chiamare una fortuna per entrambe le parti… Si ode così spesso dire che una Bellezza europea dispiacerebbe a un cinese o addirittura a un ottentotto, in quanto il cinese ha un concetto della Bellezza interamente diverso dal negro… Ed invero, se consideriamo le opere d’arte di quei popoli extra-europei, per esempio le immagini dei loro dèi, che sono scaturite dalla loro fantasia come degne di venerazione e sublimi, esse possono apparirci come i più mostruosi idoli, così come la loro musica può risuonare alle nostre orecchie nel modo più detestabile. A loro volta quei popoli considereranno le nostre sculture, pitture e musiche come insignificanti o brutte”.

Sovente le attribuzioni di bellezza o di bruttezza sono state dovute non a criteri estetici ma a criteri politici e sociali. C’è un passo di Marx (Manoscritti economico-filosofici del 44) dove si ricorda come il possesso del denaro possa supplire alla bruttezza: “Il denaro, in quanto possiede la proprietà di comprar tutto, di appropriarsi di tutti gli oggetti, è dunque l’oggetto in senso eminente… Tanto grande è la mia forza quanto grande è la forza del denaro… Ciò ch’io sono e posso non è dunque affatto determinato dalla mia individualità. Io sono brutto, ma posso comprarmi la più bella fra le donne. Dunque non sono brutto, in quanto l’effetto della bruttezza, il suo potere scoraggiante, è annullato dal denaro. Io sono, come individuo, storpio, ma il denaro mi dà ventiquattro gambe: non sono dunque storpio… Il mio denaro non tramuta tutte le mie deficienze nel loro contrario?” Ora, basta estendere questa riflessione sul denaro al potere in generale e si capiranno alcuni ritratti di monarchi dei secoli passati, devotamente eternati nelle loro fattezze da pittori cortigiani che certamente non intendevano metterne troppo in risalto i difetti, e forse hanno fatto persino del loro meglio per ingentilirne i tratti. Questi personaggi ci appaiono senza ombra di dubbio assai brutti (e probabilmente lo erano anche ai tempi loro) ma erano portatori di un tale carisma, di un tale fascino dovuto alla loro onnipotenza, da essere visti dai loro sudditi con occhi adoranti.

Infine, si legga uno dei più bei racconti della fantascienza contemporanea, La sentinella di Fredric Brown, per vedere come il rapporto tra normale e mostruoso, accettabile e orripilante, possa essere rovesciato a seconda che lo sguardo vada da noi al mostro spaziale o dal mostro spaziale a noi: “Era bagnato fradicio e coperto di fango e aveva fame, freddo ed era lontano cinquantamila anni-luce da casa. Un sole straniero dava una gelida luce azzurra e la gravità doppia di quella cui era abituato, faceva d’ogni movimento un’agonia di fatica… Era comodo per quelli dell’aviazione, con le loro astronavi tirate a lucido e le loro superarmi; ma quando si arriva al dunque, tocca ancora al soldato di terra, alla fanteria, prendere la posizione e tenerla, col sangue, palmo a palmo. Come questo fottuto pianeta di una stella mai sentita nominare finché non ce lo avevano mandato. E adesso era suolo sacro perché c’era arrivato anche il nemico. Il nemico, l’unica altra razza intelligente della galassia… crudeli schifosi, ripugnanti mostri… Era bagnato fradicio e coperto di fango e aveva fame, freddo e il giorno era livido e spazzato da un vento violento che gli faceva male agli occhi. Ma i nemici tentavano di infiltrarsi e ogni avamposto era vitale. Stava all’erta, il fucile pronto… E allora vide uno di loro strisciare verso di lui. Prese la mira e fece fuoco. Il nemico emise quel verso strano, agghiacciante, che tutti loro facevano, poi non si mosse più. Il verso, la vista del cadavere lo fecero rabbrividire. Molti, col passare del tempo, s’erano abituati, non ci facevano più caso; ma lui no. Erano creature troppo schifose, con solo due braccia e due gambe, quella pelle d’un bianco nauseante e senza squame…”.

Per quanti desiderassero proseguire la lettura di alcuni brani estratti dal testo in questione è possibile ritrovarli al link seguente:

http://www.tecalibri.info/E/ECO_bruttezza.htm#p002

fonte web, clicca qui

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