Notti mondiali, notti di sangue

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vanni-merlin
00domenica 13 luglio 2008 23:55
Notti mondiali, notti di sangue

Trent’anni da una strage politica, nascosta da un gol di Kempes e un giro di campo a braccia alzate. (Un articolo di Angelo Miotto, Peacereporter.net)



Fonte: www.peacereporter.net/dettaglio_articolo.php?idc=0&ida...

Venticinque giugno 1978. Gli occhi di milioni di spettatori sono puntati verso le televisioni che trasmettono l’ultima partita dei mondiali che si svolgono in Argentina. Le bluse bianco azzurre, strisce verticali, si giocano la finale contro gli arancioni dell’Olanda. Che fra le loro fila hanno un’ assenza significativa: manca Johan Cruijff, che si è rifiutato di andare a giocare in un Paese in cui si stanno massacrando gli oppositori politici. L’olandese lo sa. Ma gli argentini, molti argentini scopriranno la devastazione della giunta militare solo dopo. E molti di loro, emozionati e festanti in quelle ore, tramuteranno lacrime di gioia ed emozione in lacrime di dolore e maledizione.

Ieri a Buenos Aires hanno provato a cancellare quel ricordo funesto: l’Iem ( Instituto espacio por la memoria) ha organizzato una partita nello stesso posto e richiamando alcuni dei giocatori che presero parte alla finale, vinta dagli argentini. Trent’anni fa finì 3-1. Ieri, invece, un pareggio: 1-1. Una manifestazione ha preceduto la partita, con un percorso significativo: dalla sede dell’Esma, la scuola meccanicizzata dell’Armata – luogo di torture e sparizioni – fino allo stadio River Plate. Per le organizzazioni dei diritti umani quei mondiali e quella vittoria servirono per distrarre l’opinione pubblica dal massacro. Per vittime e carnefici, come racconta il premio Nobel per la pace Esquivel, la partita era un momento strano, fuori dalla realtà. “Noi sotto tortura e chi usava la picana – ricorda il premio Nobel - ci ritrovavamo a gridare insieme ’Gol dell’Argentina!’.”

PeaceReporter ha raccolto tre testimonianze fra chi, allora, visse quella partita di calcio. I loro ricordi, le immagini che sono rimaste ferme nelle loro pupille fino a oggi.

Alfredo Somoza, oggi presidente dell’Icei (Istituto cooperazione economico internazionale)

“La macchina era stata ben oleata, quella calcistica-affaristica e quella militare. Tutto era pronto per il fischio di inizio del Mundial della dittatura. Videla, Massera e Agosti tiravano fuori dagli armadi vestiti da civile, i Ford Falcon verde militare senza targhe pattugliavano la città alla ricerca di manifestanti, guerriglieri, "disfattisti". Tutte le persone prelevate in quelle ore, come nelle tante precedenti e successive, sarebbero finite nei "chupaderos", i lager clandestini dei militari dai quali pochi sarebbero usciti vivi. Uno dei più famigerati, la Scuola di Meccanica della Marina (ESMA), si trovava a pochi metri dallo stadio del River Plate dove alle ore 15 Videla avrebbe dato il calcio di inizio della partita Germania-Polonia con la quale si dava il via a "Argentina ’78". Io, come tanti, ero testimone muto del più grande, e riuscito, tentativo della dittatura di creare una cortina fumogena che coprisse le voci che cominciavano a denunciare all’estero l’orrore. Testimoni muti perché zittiti con le armi in mano. Non si era mai visto ciò che succedeva in quelli anni in Argentina: avrebbero sterminato "i terroristi, poi i fiancheggiatori, poi i complici intellettuali e infine gli indifferenti". E lo stesso c’era resistenza, fatta da piccoli atti eroici, da intercettazioni del segnale TV e radio, da volantinaggi davanti alle fabbriche, da stampa clandestina. Poco, rispetto a un popolo in delirio perché per la prima volta era protagonista di un mondiale di calcio, ma sufficiente per lasciare un’impronta di non rassegnazione nella memoria del futuro”.

Silvina Grippaldi, oggi segretaria di redazione

"I miei ci avevano messi a dormire nella stanza che dava sulla strada. Anche se arrivavano dei rumori di qualche macchina che passava e nonostante la stanza fosse più piccola di quella che si affacciava sul patio, secondo loro in quella stanza stavamo meglio. E secondo loro eravamo al sicuro. Perché se fossimo andati nell’altra camera ci avrebbero svegliato le urla che arrivavano dallo scantinato della sede della Policia Federal di Azul, piccola cittadina della provincia di Buenos Aires, sede di uno dei distaccamenti più importanti dell’esercito e per la legge fisica che i poli opposti si attraggono, anche luogo dove c’erano molti guerriglieri dell’Erp e montoneros. In quella stessa strada dove si affacciava la nostra stanza, mio padre parcheggiava la sua “quattroelle”, così chiamata in Argentina la R4, dove ogni volta che la nostra nazionale faceva gol durante il mondiale del ‘78, esattamente trent’anni fa, papà usciva a suonare il clacson insieme a tutti i vicini del barrio e ci ricordiamo ancora la partita contro il Perù, dove al quinto gol del 6 a 0, mio padre disse basta perché era stanco di fare avanti indietro. E in quella stessa strada, siamo usciti tutti con la bandiera bianca e celeste il giorno della finale contro l’Olanda, il 28 giugno 1978 per festeggiare, per urlare che eravamo campioni del mondo, per applaudire la nostra nazionale e la nostra nazione, perché eravamo orgogliosi e non avevamo l’età sufficiente per sapere e non sapevamo. E con le nostre urla abbiamo coperto le urla di quelli che, come si diceva ad Azul, anda’ a saber que hicieron (vai a saper cosa hanno fatto). Mio fratello non ha potuto festeggiare i mondiali come desiderava, perché voleva uscire con il tamburo e mia madre gli disse di no. Dopo anni, ci raccontò che la stella che gli aveva dipinto Susana, la professoressa di bombo, era una stella rossa a cinque punte. E Susana, mentre noi festeggiavamo i mondiali, veniva torturata e desaparecida dietro casa mia".

Manuel Ferreira, oggi è attore e produttore teatrale di Alma Rosé

"Per un ragazzo di 13 anni, che cosa c’è di più importante del calcio, che cosa può essere più emozionante del proprio Paese che organizza il mondiale e lo vinca pure. Trenta anni fa, mi toccava uscire dal tunnel dello stadio dove migliaia di giovani argentini facevano lo schema di ginnastica per la cerimonia inaugurale del mondiale di calcio 1978. Eravamo dietro la Polonia, ma quando è uscita l’Argentina, lo stadio è esploso in urlo unico e non si riusciva a vedere niente, per la quantità di pezzettini di carta bianca che la gente lanciava dagli spalti. Io camminavo e guardavo la riga del pavimento, non si vedeva niente. Camminavo e piangevo dall’emozione, e mi dicevano “Non piangere!” Io piangevo. E urlavo: “ARGENTINA, ARGENTINA”

Sono emozioni fortissime, che ti rimangono nell’anima… Molti anni dopo, a 17 anni nel 1982, quando ho cominciato a prendere atto di quello che in contemporanea succedeva a pochissimi metri da dove io piangevo, dove altri giovani e persone morivano torturati, massacrati, violentati, quel ricordo mi diventò così amaro, che mi veniva da piangere e anche da vomitare al pensiero di aver dovuto, nello stesso momento del massacro, alzare la mano per salutare quella giunta criminale che faceva morire per sempre una generazione, che imponeva un progetto di distruzione del nostro Paese di cui tutt’ora continuiamo a pagare le conseguenze. Che crudeltà, che piano machiavellico per distruggerti l’anima.

Sarebbe bello, poter rifare lo schema di ginnastica oggi noi quarantenni e poter uscire dallo stadio, senza piangere più, e andare a salutare lì vicino, in quel posto dove migliaia di argentini sono stati uccisi, all’ESMA, e inondare quel posto di bigliettini bianchi e non piangere, ma dir loro che noi non dimenticheremo più, e che non smetteremo mai i nostri sforzi perché la loro memoria rimanga per sempre e perché i colpevoli finiscano in quel tunnel buio dello stadio, e che non riescano mai più a uscire come nei peggiori degli incubi. Sperando che per un solo attimo potessero provare la paura e il terrore che quelle vittime hanno provato in quelle celle a solo 300 metri da dove loro incoronavano la nazionale Campione del Mondo.

Ci sono cose nella vita che non si perdonano, e la rivincita non serve a quasi niente. Comunque, dopo la partita di ieri a Buenos Aires, a 30 anni da quel tremendo 1978, oggi mi sento meglio".

Angelo Miotto


da: www.girodivite.it/Notti-mondiali-notti-di-sangue.html


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