Marcel Feron, uno di noi sul treno della vita

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vanni-merlin
00martedì 26 febbraio 2008 11:35
Marcel Feron, uno di noi sul treno della vita
di Giuseppe Ceretti


Marcel Féron, il piccolo e mediocre Marcel Féron. Un uomo non infelice, non triste, una moglie, una figlia, un figlio in arrivo, una casa. Ci sono tutte le condizioni perché le notizie ascoltate alla radio in una mattinata del maggio 1940 possano assestare un duro colpo a un poco più che trentenne, ma già provato dalla vita.

Le truppe tedesche hanno invaso l'Olanda, dilagano in Belgio e stanno per inoltrarsi nelle Ardenne. Non c'è scelta, è tempo di fuga verso il Sud. Marcel si sente invece sollevato e confessa di provare «una sorta di gioia torbida, come quando si distrugge qualcosa che si è pazientemente costruito con le proprie mani ». Ha atteso quell'attimo per anni con impazienza. E' il momento in cui il personale della sua vita si scompone, è come se uscisse di casa per un incontro fissato da tempo con il destino. Forse da quando, bambino, aveva visto suo padre partire per il fronte nel 1914 o da quando sua madre aveva abbandonato la casa, con i capelli rapati a zero, vomitando insulti, inseguita da sciami di ragazzi che le gridavano oscenità; da quando, ancora, una tubercolosi e una malformazione congenita agli occhi, avevano minato il suo fisico.

Marcel si lascia trascinare dagli eventi che lo spingono entro un carro merci in fuga dall'invasore, diviso dalla moglie incinta e dalla figlia per circostanze che non può e non vuole mutare.
Lì conosce Anna, un'altra giovane creatura senza destino, una profuga cèca di origine ebrea, come lui vissuta sino a quel momento in un luogo chiuso, un carcere. Marcel e Anna non si fanno domande, non si pongono quesiti sul passato, vivono solo il presente d'una travagliata odissea che li porterà a La Rochelle, provando attimi di felicità a loro sconosciuti. Entrambi sanno che non c'è futuro proprio come non esiste il passato, ma solo il " qui e ora " fatto di una passione anche fisica quanto mai intensa, resa folgorante dai profumi di un principio d'estate fulgido che fa da contrappasso alla tragedia incombente. Confessa Marcel: «Si era prodotta una frattura. Ciò non significa che il passato non esistesse più, né tanto meno che rinnegassi la mia famiglia o avessi smesso d'amarla. Semplicemente, per un tempo indeterminato, vivevo in un'altra dimensione, i cui valori non avevano nulla in comune con i valori della mia vecchia vita ».

Anna e Marcel trascorrono il poco tempo concesso come se le loro piccole esistenze dovessero durare per sempre. Tutto diventa naturale in quella fuga verso l'ignoto perché nulla accade come nella vita normale: «Divoravamo il fragile presente. Ci rimpinzavamo di piccole gioie, di immagini, di schegge di luce che, certamente, avremmo conservato per tutta la vita. Torturavamo le nostre carni nel vano tentativo di fonderle in una sola».

Alla fine Marcel approda là dove aveva interrotto la sua esistenza di «uomo abbastanza agiato, riservato, piuttosto scialbo». E consegna ad appunti su quaderni, tenuti gelosamente nascosti, i ricordi dell'altra vita.
Simenon concede a Marcel il doppio sogno, intreccia l'animo mediocre e quello curioso e anelante emozioni, con la sapienza di un meticoloso cronista, con una prosa attenta a ogni particolare, utile a scandagliare le pulsioni che stanno nell'intimo di ognuno di noi. Non indulge mai alla retorica, la guerra incombente resta un contorno tragico. E' un pretesto per raccontare un viaggio interiore con grandi slanci emotivi, ma senza indulgenza, senza nascondere la meschinità. E sapendo che comunque ai sogni si paga un tributo e non tutti i treni riportano là dove si era partiti. Così è per Anna.

Marcel, una moglie, tre figli, un'attività commerciale in proprio, è uno di noi.


Georges Simenon
Il treno
Biblioteca Adelphi
pp 146, 16 euro



da: www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Tempo%20libero%20e%20Cultura/2008/02/il-treno-simenon-georges.shtml?uuid=2bae055e-e072-11dc-a5d5-00000e251029&DocRulesVie...



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