Liberta’ e moralità nel pensiero di E. Kant

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vanni-merlin
00domenica 14 gennaio 2007 20:53
Liberta’ e moralità nel pensiero di E. Kant




La dimensione morale è stata da sempre oggetto di interpretazioni che risentono fortemente della visione dell’uomo come essere sociale e quindi integralmente immerso in un determinato frangente storico che ne condiziona l’azione ed il pensiero.

Basta riflettere sul fatto che i problemi etici sono stati trattati in modo diverso relativamente alle varie epoche e quindi suscitano spiegazioni e riflessioni che troviamo di volta in volta variegate e molteplici.

Riguardo l’età moderna, l’etica degli ultimi secoli si è caratterizzata come rielaborazione del concetto di uomo in quanto essere sociale e quindi in relazione alle contingenze storiche che hanno portato al travagliato consolidamento del ceto borghese rispetto al mondo feudale.

Per capire l’etica moderna è fondamentale intendere l’uomo come microcosmo in bilico tra due sistemi culturali e sociali profondamente diversi. Ed il ripensamento della sua dimensione etica non può prescindere dalla conoscenza dei suoi rapporti sociali in atto.

Nell’ambito del pensiero pratico moderno, l’etica come viene proposta da E. Kant rappresenta sicuramente un momento di innovazione ma anche un punto di partenza per i sistemi filosofici dei suoi successori.

E’ innegabile che il fatto che si continui a parlare in modo proficuo della morale kantiana indica l’attualità in senso lato delle sue idee.

Prima di Kant, la linea direttiva che prevaleva in senso filosofico era il determinismo che si impose in Europa per effetto del diffondersi delle moderne scoperte scientifiche le quali alludevano ad un mondo regolato da precisi meccanismi da cui si deducevano regole e leggi fisiche generali.

L’nflusso del determinismo si ritrova nei sistemi filosofici del tempo nonché nelle dottrine religiose della Riforma luterana e del calvinismo in cui l’uniformarsi della volontà umana q quella divina si manifesta con la teoria della predestinazione alla salvezza.

Filosofi come Hobbes, Cartesio e Spinoza tendono ad associare una necessità contingente alla sfera etica; il loro eudomonismo li portò ad identificare il bene con la conoscenza e con la ricerca dell’utile;Spinoza giunse ad adottare un modello matematico per la sua opera Ethica more geometrica demonstrata .Le norme morali erano considerate tanto più valide quanto più si rifanno ad un sostrato necessario ed assoluto che le giustifichi dal punto di vista intellettivo.



Già nel 1785 con l’opera: Fondazione della metafisica dei costumi Kant sembra infrangere questa tradizione di pensiero.

In quest’opera, che sarà il preludio alla Critica della ragion pratica, dove il suo pensiero morale raggiunge il massimo svolgimento, egli già delinea una dottrina in cui le norme etiche, che sono valide universalmente, esistono a priori e sono prive di una caratterizzazione contenutistica che le renderebbe eteronome e quindi finalizzate al conseguimento di determinati scopi. I contenuti, infatti, prevalgono sulla pura volontà di agire e sulla sua autonomia subordinandola a condizioni specifiche come lo Stato,Dio o persino la stessa virtù perfetta reificata in una saggezza cui il filosofo può accedere così come la intendevano gli Stoici

L’imperativo morale da ipotetico, cioè soggetto a condizioni che stabiliscono la raggiungibilità di determinati fini, diventa per Kant imperativo categorico e formale che prescinde da qualsiasi presupposto e si libera finalmente dai retaggi del sentimento e dell’intelletto.

Per Kant si tratta soprattutto di delineare un campo in cui la volontà umana è assolutamente autonoma ed indipendente. Il suo senso della libertà è nuovo, travalica le idee dell’Illuminismo e di questo Kant è almeno in parte debitore a Rousseau. Dal pensatore ginevrino adotta il motivo della libertà naturale dell’uomo, di quella coscienza comune a tutti gli uomini che ci rende uguali ma che è di matrice prettamente illuminista e che Kant supera alludendo così ad una realtà intellegibile e che è già espressione tipica del Romanticismo.

Kant dedica una particolare attenzione all’etimologia con cui definisce la sua teoria morale.

La sua solerzia nel distinguere nel corso della Critica della ragion pratica tra due termini apparentemente sinonimi mussen come necessità naturale e sollen necessità morale, è emblematica dell’intera sua opera.

Laddove, nella Critica della ragion pura aveva ribadito la necessità per l’uomo di restare fedele ad un tipo di conoscenza che non andasse al di là del mondo sensibile che può essere conosciuto attraverso le forme dello spazio e del tempo e le categorie dell’intelletto, nella dimensione etica egli respinge questa condizione e riafferma piuttosto l’assoluta libertà dell’azione pratica.

L’essere umano non è congenitamente buono come per Rousseau né ostile agli altri come per Hobbes, ma è la ragione che lo innalza al senso superiore della legge morale e rende universali le sue massime soggettive.

La libertà postula l’esistenza della norma morale e questa, a sua volta, permette all’essere umano di prendere atto della sua libertà laddove ciò gli veniva negato dalla ragion pura.

In questo senso, la dottrina etica kantiana rappresenta inevitabilmente un tentativo di completare il suo pensiero senza corre il rischio di umiliare la dignità del libero arbitrio.

Se questa realtà non è il migliore dei mondi possibili perché così determinata dalla volontà divina come invece affermava Leibniz, si deve altrimenti attribuire all’uomo la facoltà libera e creatrice di realizzarla.

L’enorme portata innovatrice della libertà kantiana si denota già a partire dall’influenza che le sue teorie etiche ebbero nella formulazione dell’Idealismo. Infatti, è l’idea centrale della libertà che fa scaturire l’attività dell’Io di Fichte, ed ancora è la libertà che rende possibile allo Spirito, secondo Hegel, di diventare oggettivo nelle forme della vita sociale e politica.E dunque rappresenta un regresso rispetto alla libertà la coscienza infelice che non realizza il proprio dover essere mentre al contrario il superamento della sua alienazione si pone come dovere morale.

Se è innegabile l’influsso che la teoria etica di Kant esercitò sui suoi posteri, è anche vero che egli lascia in eredità, assieme alle sue conquiste, anche alcune aporie. Innanzittutto, non bastano a giustificare l’esistenza di una realtà noumenica i postulati della ragion pratica (Dio, l’anima e la stessa libertà), mentre l’uomo continua ad apparirci eternamente diviso tra la causalità della sua conoscenza del mondo fenomenico e la libertà della sua morale che arride ad un mondo sovrasensibile.

Probabilmente Martin Heidegger non aveva tutti i torti quando nella sua opera del 1929: kant ed il problema della metafisica, sosteneva che il problema fondamentale di kant non è tanto quello di fondare una certezza gnoseologica ma piuttosto di offrire spunti ad una ontologia che fornisse una ragion d’essere alla metafisica.



Tecla Squillaci



da: www.ousia.it/SitoOusia/index.htm

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