La mancata adozione di misure di sicurezza sul lavoro può legittimare il rifiuto della prestazione

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marco panaro
00venerdì 18 novembre 2005 21:09
Cassazione Sezione Lavoro n. 21479 del 7 novembre 2005, Pres. Mileo, Rel. Capitanio

Marco M. dipendente delle Autostrade Concessioni s.p.a. con mansioni di esattore presso il casello di Castelletto Ticino ha subito, nel periodo giugno-luglio 2000, tre rapine a mano armata durante il turno notturno. Egli ha chiesto all’azienda l’adozione di misure idonee a garantire la sicurezza dei lavoratori addetti al casello. Non avendo ricevuto risposta, dopo avere inutilmente rinnovato la diffida all’azienda, egli le ha comunicato di volersi astenere dal lavoro con diritto alla retribuzione a decorrere dal 15 ottobre 2000, in base all’art. 1460 cod. civ. secondo cui “nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l’altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria … Tuttavia non può rifiutarsi l’esecuzione se, avuto riguardo alle circostanze, il rifiuto è contrario alla buona fede”. L’azienda, dopo avergli contestato l’addebito di assenza ingiustificata, lo ha licenziato. Dopo il licenziamento si sono verificate, presso il casello di Castelletto Ticino altre rapine, nel corso delle quali sono stati feriti gli esattori ad esso addetti; in seguito a ciò l’azienda ha provveduto alle misure di sicurezza già richieste da Marco M. Questi ha impugnato il licenziamento davanti al Tribunale di Verbania, sostenendo di non essersi reso responsabile di alcuna inadempienza, in quanto la sua condotta doveva ritenersi giustificata dal mancato adempimento, da parte dell’azienda, all’obbligo previsto dall’art. 2087 cod. civ. di tutelare la sicurezza dei dipendenti. Sia il Tribunale che, in grado di appello, la Corte di Torino hanno ritenuto legittimo il licenziamento. In particolare, il Collegio di secondo grado ha affermato che, ai fini della decisione della controversia, non era determinante accertare se le misure di sicurezza adottate dalla società datrice di lavoro fossero pienamente idonee a garantire la sicurezza dei lavoratori o se, invece, ne fossero individuabili altre maggiormente efficaci, perché, anche qualora fosse stato accertato un parziale inadempimento del datore di lavoro agli obblighi derivanti dall’art. 2087 cod. civ., il rifiuto totale della prestazione lavorativa da parte del lavoratore non sarebbe stato proporzionato al parziale inadempimento del datore di lavoro e non sarebbe stata, perciò, applicabile la scriminante di cui all’art. 1460 cod. civ. La Corte territoriale aggiungeva, altresì, che anche a volere ritenere fondato l’addebito mosso dal lavoratore alla società Autostrade di non avere adeguatamente provveduto a tutelare la sicurezza dei propri dipendenti per i rischi extralavorativi in violazione dell’art. 2087 cod. civ., tale inadempimento non avrebbe potuto essere considerato grave sia perché si trattava di un inadempimento relativo a uno solo dei profili di tutela della sicurezza dei lavoratori e sia perché non poteva essere addebitata alla società Autostrade la totale assenza di misure di sicurezza ma, eventualmente, soltanto la mancata adozione di misure di sicurezza più idonee e non facilmente individuabili. Il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione, censurando la decisione della Corte di Appello per violazione e falsa applicazione degli artt. 1460 e 2087 cod. civ., nonché per vizi di motivazione.

La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 21479 del 7 novembre 2005, Pres. Mileo, Rel. Capitanio) ha accolto il ricorso in quanto ha ritenuto che la Corte di Appello di Torino, interpretando erroneamente l’art. 1460 cod. civ., abbia omesso di valutare compiutamente le circostanze che potevano far ritenere giustificato il comportamento del lavoratore. In proposito la Suprema Corte ha affermato quanto segue:

“Nei contratti a prestazioni corrispettive, quando una delle parti giustifica il proprio inadempimento con l’inadempimento dell’altra, occorre procedere alla valutazione comparativa del comportamento dei contraenti non soltanto in riferimento all’elemento cronologico delle rispettive inadempienze, ma anche in relazione ai rapporti di causalità e di proporzionalità di tali inadempienze rispetto alla funzione economico-sociale del contratto, al fine di stabilire se effettivamente il comportamento di una parte giustifichi il rifiuto dell’altra di eseguire la prestazione dovuta, tenendo presente che va, in primo luogo, accertata la sussistenza della gravità dell’inadempimento cronologicamente anteriore, perché quando questo non è grave, il rifiuto dell’altra parte di adempiere non è di buona fede e, quindi, non è giustificato. Va inoltre aggiunto che il requisito della buona fede previsto dall’art. 1460 cod. civ. per la proposizione dell’eccezione “inadimplenti non est adimplendum” sussiste quando, nella comparazione tra inadempimento cronologicamente anteriore e prestazione corrispettiva rifiutata, il rifiuto sia stato determinato non solo da un inadempimento grave, ma anche da motivi corrispondenti agli obblighi di correttezza che l’art. 1375 cod. civ. impone alle parti in relazione alla natura del contratto e alle finalità da questo perseguite. In particolare, con riferimento al contratto di lavoro, l’ipotesi del sopravvenuto venir meno in modo totale o parziale della prestazione lavorativa tale da giustificare il licenziamento ex art. 18 legge 20 maggio 1970 n. 300 per giusta causa o per giustificato motivo ai sensi dell’art. 3 legge 15 luglio 1966 n. 604 non è ravvisabile se il mancato o non completo adempimento del lavoratore nella mancata adozione da parte del datore di lavoro delle misure di sicurezza che, pur in mancanza di norme specifiche, il datore è tenuto ad osservare a tutela dell’integrità fisica e psichica del prestatore di lavoro e se quest’ultimo prima dell’inadempimento secondo gli obblighi di correttezza informa il datore di lavoro circa le misure necessarie da adottare a tutela dell’integrità fisica e psichica del lavoratore, sempre che tale necessità sia evidente o comunque, accertabile o accertata.

Ciò premesso, va, intanto, osservato che è erronea l’affermazione della Corte territoriale, secondo la quale l’obbligo del datore di lavoro di assicurare al lavoratore misure di sicurezza idonee a garantirgli la integrità fisica e morale nell’adempimento della prestazione lavorativa avrebbe avuto ad oggetto un rischio di natura extra-lavorativa. Il rischio denunciato dal lavoratore, invece, era lavorativo, posto che trovava occasione nell’adempimento della sua prestazione. Pertanto, al fine di stabile quale sia l’inadempimento colpevole e quale quello incolpevole occorre procedere necessariamente ad una comparazione tra l’inadempimento cronologicamente anteriore e quello cronologicamente successivo al fine di valutare la gravità del primo, in relazione alla funzione socio-economia del contratto, come conseguenza giustificata o giustificabile dell’inadempimento del secondo. Tale giudizio di prevalenza o di equivalenza tra i due contrapposti inadempimenti contrattuali, costituisce un accertamento di fatto, in quanto tale non sindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione esauriente e immune da vizi logici e giuridici. Nella specie invece, la Corte di Appello di Torino ha eseguito la comparazione delle inadempienze in base al criterio quantitativo e non già a quello qualitativo ossia ha comparato i due contrapposti inadempimenti non già in riferimento alla loro natura e gravità, bensì alla totale o parziale mancata esecuzione delle fondamentali prestazioni corrispettive del contratto di lavoro.

In riferimento alla scriminante di cui all’art. 1460 cod. civ. andava invece, valutata la natura della complessiva obbligazione incombente sul datore di lavoro e comprendente anche l’obbligo di adozione di tutte le misure di sicurezza idonee ad assicurare la tutela dell’integrità fisica del lavoratore in relazione all’organizzazione dell’azienda.

Una volta accertata l’inosservanza di tale obbligo di adozione delle misure di sicurezza, avrebbe dovuto esser cura del giudice di merito accertare, a sua volta, previo libero apprezzamento delle risultanze di tutte le circostanze evidenziate dai testi o da ritenere acquisibili al processo se non come fatti notori (successive rapine allo stesso casello in occasione delle quali siano stati feriti esattori ivi addetti e successiva adozione delle misure di sicurezza già richieste da Marco M.) quanto meno se e come fatti non contestati, se fosse stata o no giustificata secondo correttezza e buona fede la risposta di inadempimento del lavoratore. Pertanto, in accoglimento del proposto ricorso, la sentenza impugnata va cassata con rinvio, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di Appello di Genova, la quale si uniformerà nella definizione della controversia, ai principi di diritto sopra sottolineati e sorreggerà la decisione con motivazione esauriente e immune dai vizi logici e giuridici in cui è incorsa la Corte di Appello di Torino e sopra evidenziati.”
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