Ipotesi amnistia, una scelta che non aiuta il mondo del pallone

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vanni-merlin
00mercoledì 7 giugno 2006 23:59
1 giugno 2006
Ipotesi amnistia, una scelta che non aiuta il mondo del pallone

di Lara Vecchio

Mai vigilia di mondiale fu così surreale.
I fischi di Coverciano, le contestazioni, i sospetti. Il polso della situazione lo hanno dato le convocazioni di Lippi. In un altro contesto l’esclusione di giocatori come Tavano e Lucarelli avrebbe provocato polemiche infinite. Nei bar e sui tram non si sarebbe parlato d’altro. E invece la prima reazione è stata quella della dietrologia. L’attenzione spostata sui presenti, non sugli assenti. Quanti uomini Gea? Quanti legati a Lippi, al figlio, a Moggi. Insomma, quanti raccomandati? Segnali forti di diffidenza, disaffezione, e persino paura che tutto funzioni. Che possa essere l’anno buono. Che un eventuale trionfo in Germania possa inebriarci a tal punto da farci dimenticare e perdonare sull’onda dell’entusiasmo. Perché in fondo il tifoso è fatto così. Davanti al sogno, alla fine, si scioglie come neve al sole. E allora eccole, sibilline, le prime voci di corridoio. Dopo una prima fase di indignazione senza precedenti, si cominciano a mettere avanti le mani. Qualcosa non torna. La presunta incompatibilità tra la mole di lavoro da svolgere, gli approfondimenti, le scartoffie da studiare, analizzare e soppesare , con i tempi stretti che impongono alla Federazione di presentare l’elenco delle squadre per le competizioni europee, i calendari da stilare, il mercato bloccato, un nuovo campionato da varare.

Il calcio italiano respinge l’ipotesi di un anno sabbatico. Ufficialmente perché chi davvero non c’entra nulla ha diritto di andare avanti per la sua strada senza pagare ulteriormente pegno, ma la vera ragione è che se il calcio si ferma, si ferma l’indotto e in quel caso in guai seri si troverebbe un intero paese che scivolerebbe in una crisi senza precedenti. Un lungo preambolo per dire che, memori di quanto accadde nell’82, ci troviamo a tremare alla sola ipotesi che gli azzurri, vincendo il mondiale, possano generare il mostro, la scappatoia che ci fa inorridire: l’amnistia.
E allora, con le unghie e coi denti, per difendere il sacrosanto diritto a tifare per una squadra che aspettiamo al varco da quattro anni, ci aggrappiamo alle differenze.

Quando, nel luglio dell’82, l’Italia festante scese in strada ubriaca di gioia e la Federazione elargì il condono – premio, erano passati due anni dal terremoto del calcio scommesse che per la prima volta compromise l’immagine del campionato considerato, fino a quel momento, il più bello del mondo. Le immagini della polizia che violava la sacralità del terreno di gioco, ammanettando gli idoli delle curve per trasportarli in carcere, erano ormai sbiadite. Giocatori e presidenti coinvolti nello scandalo avevano parzialmente scontato le pene inflitte. Milan e Lazio avevano provato l’onta della retrocessione. Altre squadre avevano pagato con la penalizzazione di punti nel campionato successivo. Il pane duro, in poche parole, lo avevano quantomeno provato. E il colpo di spugna cancellò solo le briciole che restavano ancora da ingoiare.
Peraltro, altra differenza sostanziale, la giustizia ordinaria aveva già emesso, qualche mese prima, la sua sentenza grottesca, quella che preparò il terreno alla decisione federale: “assoluzione perché il fatto non sussiste”.

E francamente, senza correre il rischio di passare scorrettamente per non garantisti, culliamo la sensazione che questa volta la giustizia ordinaria sia orientata ad andare in una direzione differente, utilizzando la spugna non per cancellare le tracce di sporco, ma per raschiare il più possibile sul fondo del calderone, garantendoci la possibilità di riattizzare la fiamma del tifo più genuino. Quello che ci riesce meglio.



da: www.ilsole24ore.com/fc?cmd=art&codid=20.0.1919323291&chId=30&artType=Articolo&DocRulesVie...

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