Il poeta di Kobal - Kobal, demone padrone di tutte le arti

mr.si
00giovedì 29 marzo 2007 12:48
Una volta in una mezzanotte sciatta, mentre con la mano destra grattavo uno spicchio di mento, quasi morendo, con la testa china sentii un leggero picchiettio alla finestra, come un fetta di pane con sopra marmellata, mossi lentamente il sangue per divenire più denso di quello che ero e mi affacciai dalla vetrata. Gli alberi con le foglie sembravano spegnere le stelle, come grossi orologi dritti coprivano il tempo e solo il fantasma di ciò che proiettavano sembrava vivo. Febbrilmente volteggiavano i rami sulle spire del vento e mai arrivava il mattino a quietare la mia stravaganza nel vedere storte penombre animarsi. La gola scendeva sul fruscio purpureo della notte, mi riempiva di vocali stonate che rinvenivano nell’alzarsi della luna, sempre più alta, con un giallo paonazzo incredulo di se stesso. Nell’ansimare di ogni vena, vi era tenebra e nulla più, non una lucciola riempiva di scorte il freddo che dirompeva. Scrutando in quella profonda caverna, fatta di umide scolature, rimasi a lungo fermo, udendo sogni che nessun morto raccolse nella sua pacatezza. La mia malata fantasia sorrise, accompagnandomi sul tappeto, sulle rive di un mare che non aveva maree per riemergere – tutto si corrompeva dentro, le ali di un uccello granelli di una stoffa addormentata nel suo grembo, niente poteva ricomporre il senso, d’altronde l’aria già sabotava il polmone e il suo respiro. Le matite erano lame che attorcigliavano i tendini sulle ossa, come delle piccole amache tirate da un palo all’altro, ed io ero il peso sospeso nella gravità del loro regime. Miriadi di versi annegavano nelle mutande, coriandoli di un carnevale cominciato senza le sue maschere – appollaiato sul busto, cominciai a percuotere le costole sulle ginocchia, il pulsare della notte mi parve profumato, come il fiore che passeggiava con morbidi passi sulla mia schiena abbozzata. Dal foglio accartocciato nella mano sanguinante uscii Kobal, principe dell’arte, demone di un inferno pieno di seni da leccare, con un mantello dal colore bruno tese un’ombra che prendesse il mio posto. Non si alzò più da lì quella chiazza nera, né vidi mai più la mia intera figura – non c’era più niente su cui pregare, solo una finestra con delle gocce di sonno appese nelle intercapedini.

[Modificato da mr.si 29/03/2007 14.38]

Anhelikax
00venerdì 30 marzo 2007 07:20
Stefano sei un grande!!ora non ho tempo, ma tornerò,

intanto ti auguro una giornata di luce piena
mr.si
00venerdì 30 marzo 2007 10:33
grazie Lù per la visita, ti auguro anche a te una giornata di luce piena [SM=g27822]
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