Il giornale

Suncity84
00martedì 9 giugno 2009 23:29


Andava avanti così da tre anni e facendo due conti, tolti i giorni festivi, una settimana di malattia e quel giorno che presi per il matrimonio di mio fratello, avevo risparmiato 1051 euro. Come?

Sono un tipo abitudinario per cui era una consuetudine: scendevo da quello stramaledetto treno puzzolente e ritardatario, sul quale, se dovevi andare al cesso potevi anche fartela addosso perché dovevi, prima farti strada tra una calca mostruosa di gente, e poi pregare l’Onnipotente che quello stronzo che ci stava fumando dentro si sbrigasse e che quello che era in fila davanti a te si sbrigasse a sua volta a fumarsi la sua schifosa SAX (Dio salvi il prezzo delle SAX: le uniche sigarette che i poveracci come noi si possano ancora permettere). Dovevo essere al lavoro alle otto, ma considerando che lo stramaledetto era perennemente in ritardo e che ci metteva di suo, senza ritardi, già un’ora per percorrere sessanta chilometri, ero costretto a prendere quello delle sei anziché quello dello sette. Se fossi arrivato in ritardo, anche di cinque minuti, il Signor Roglioni (che per assonanza, ma non solo, si capisce immediatamente come lo chiamassimo noi operai…) mi avrebbe tolto un’ora di lavoro dallo stipendio. Un giorno, ad una sua scenata per due minuti di ritardo un tipo gli rispose: “Se lei mi toglie un’ora… allora io entro alle nove!” Il Signor Roglioni lo rimbeccò con un’espressione perfida: “Molto bene, allora alle nove troverai i cancelli ben chiusi e mi impegnerò personalmente ad attaccarci un cartello con la tua foto e sotto scritto “IO QUI NON POSSO ENTRARE”. Fu così che il tentativo di ribellione fu subito represso. Il Signor Roglioni era un individuo semplicemente ripugnante, grassoccio e sempre sudaticcio, che nascondeva la sua stupidità dietro le sue continue cattiverie e angherie, e la sua calvizie dietro un ridicolo riporto, che anziché nascondere il difetto ne accentuava l’evidenza. A causa del suo forforoso riporto una volta fui costretto a svolgere i lavori più infimi che ci siano da fare in questo stabilimento per un’intera settimana. E’ vero l’avevo combinata bella: avevo caricato un camion diretto in Francia con il carico di quello per la Sicilia e viceversa, ma quando se ne accorse la sua reazione fu così esagerata che peggiorò gravemente il mio errore. Cominciò ad urlarmi contro sputacchiando (mi rammaricai di non essere una berlina fornita di tergicristallo), e a sventolarmi in faccia i fogli delle consegne per il carico, tutto quello sventolare, haimè, gli fece alzare il riporto a mo’ di cresta. Non ascoltai più le sue grida: fissavo il suo ciuffo sparato verso l’alto cercando di trattenermi dal ridere. C’era poco da ridere: la situazione per me era drammatica. Credo che mi abbia rivolto una domanda a cui io, impegnato com’ero a non ridere, non risposi perché riuscì addirittura a gridare più forte. Poi si fermò un attimo, sembrò che si fosse calmato un pochino : “Mi stai ascoltando razza di decelebrato deficiente?” In realtà si era calmato per capire cosa mi distraesse… Seguì il mio sguardo e guardandomi con odio sempre crescente si portò lentamente una mano alla testa. Nel frattempo gli altri operai, attirati dalle sue urla, si erano avvicinati per godersi la scena (una bella strigliata è sempre un avvenimento ben gradito da tutti, tranne da chi la prende, e uno spunto di pettegolezzo per il resto della giornata) e tutti loro, come me, cercavano di non ridere: chi si teneva le mani alla bocca, chi allo stomaco, chi si piegava in due. La mano del Signor Roglioni si posò sulla cresta volante e la sua espressione fu stravolta dalla vergogna. La sua mano grassoccia si impegnò disperatamente per sistemare la “chioma” e a quei movimenti goffi nessuno poté più reggere: la risata scoppiò fragorosa neppure i suoi sguardi funesti riuscirono ad interromperla. Da quel giorno mi odiò con tutte le sue forze. Ogni giorno faceva del suo peggio affinché mi licenziassi, ma io avevo bisogno del mio stipendio e con sopportazione infinita ogni mattina gli tornavo fra i piedi senza pietà. Ogni giorno salivo sul maledetto treno e sceso in stazione entravo nel bar: con il barista non ci scambiavo più nemmeno una parola, io facevo un cenno con la testa che stava per “ciao” e lui rispondeva preparandomi il cappuccino, l’unica cosa che era cambiata in quei tre anni era il prezzo del cappuccio che di cinque centesimi in cinque centesimi da ottanta centesimi era arrivato a costare un euro, per il resto era tutto sempre uguale. Quando il maledetto aveva un ritardo ragionevole, nel bar, mi sedevo ad un tavolo in disparte a guardare un tipo che leggeva il giornale sul tavolo di fianco. Il tipo era sempre lì al suo tavolo sembrava che ce l’avesse in affitto, alcune pagine le leggeva attentamente di altre leggeva solo i titoli, ma quel suo giornale se lo sfogliava immancabilmente tutto dalla prima all’ultima pagina. L’ultima pagina era il segnale che aspettavo, a quel punto lui si alzava ed usciva con il giornale sottobraccio. Io restavo qualche secondo ancora seduto e poi lo seguivo. Appena fuori dalla porta c’era un secchio per l’immondizia appeso al muro e lui ci posava il giornale sopra di traverso in modo che rimanesse appoggiato ai bordi e non cadesse dentro.

Uscivo dal bar mi posizionavo vicino al secchio con fare indifferente accendendo una sigaretta, mi guardavo intorno e appena nessuno faceva caso a me (cosa che tra l’altro non mi viene difficile: risulto indifferente alla gente per vocazione naturale) prendevo il giornale e soddisfatto per il guadagno mi avviavo al lavoro. Fin dal primo giorno che presi il treno trovai “L’Inviato” appoggiato sul secchio, non è mancato mai, in caso di sciopero dei giornalisti trovavo lo stesso il giornale uno qualsiasi però, l’unico che fosse uscito nonostante lo sciopero. Quando il maledetto era in ritardo marcio uscivo subito e lo trovavo già lì, puntuale come un orologio svizzero. E’ così che in tre anni ho risparmiato 1051 Euro.






18 MAGGIO 2007

Quella mattina il maledetto era davvero in ritardo. Scesi dal treno alle otto meno dieci, non avrei fatto in tempo nemmeno a prendere il cappuccino, il maledetto aveva fatto proprio del suo peggio: cominciare a lavorare senza cappuccio è una di quelle cose che mi mandano fuori dai gangheri. Andai diretto a prendere il giornale, almeno quello… Pioveva e tirai fuori dalla borsa magica, preparata da mia moglie ogni mattina con il pranzo e generi vari di varia utilità, un mini ombrello di quelli che si smontano alla prima folata di vento, accesi una sigaretta che ci vuole prima di entrare a lavoro, andai verso il secchio, passando infilai il giornale sottobraccio e via verso lo stabilimento. Non so per quale caso guardai i cartelloni pubblicitari attaccati al muro e poi gli annunci mortuari che li seguivano. Fu proprio uno quegli annunci che attirò particolarmente la mia attenzione: ebbi un brivido. Dopo tre anni conobbi il nome dell’uomo del giornale:



E’ scomparso ieri all’età di 71 anni
ARTURO TRANQUILLI
Ne danno il triste annuncio i figli
Giovanni e Luisa


A quel punto una domanda si fece impellente: “Se è morto ieri allora chi ha lasciato il giornale stamattina?” Presi il giornale e tentai di aprirlo, ma niente era incollato ed era stranamente obeso come se dentro ci fosse nascosto qualcosa, lessi il titolo “Lo Stato”, nossignore quello non era il quotidiano del Signor Tranquilli lui avrebbe comprato quel quotidiano solo se ci fosse stato uno sciopero dei giornalisti e io, che il giornale lo leggo ogni giorno, non ero a conoscenza di nessuno sciopero, e poi prova ancor più inconfutabile il Signor Tranquilli era morto! Fui morso dalla curiosità: cosa accidenti c’era infagottato dentro al giornale? Prendendolo non ci avevo fatto caso: pioveva e avevo le mani impegnate e poi capita spesso che i quotidiani siano gonfi di inserti e cose varie, ma ora sentivo che c’era qualcosa di poco pulito in tutta quella faccenda, individuai un punto dove la colla aveva fatto poca presa ci infilai il mignolo per allargare il buco e sbirciai dentro. Non potevo credere ai miei occhi. Dentro al giornale piegato e incollato c’erano un mucchio di mazzette di banconote da cinquecento euro! Passai in pochi secondi dall’esaltazione “SONO RICCO”, alla disperazione “SONO MORTO”.

Chissà in quale guai mi sono cacciato con la mia mania di risparmiare? Di chi potevano mai essere tutti quei soldi, sicuramente c’era qualcosa di orribile sotto: erano il pagamento di un riscatto? Oppure il compenso di un sicario? Oppure… Cominciai a guardarmi intorno, avrei voluto correre, ma le mie gambe si rifiutavano sia di accelerare che di rallentare mi sembrava di volare, la paura si era impadronita del mio corpo e della mia mente. Prima che me ne accorgessi mi ero rintanato nel bagno del centro commerciale a contare quei foglietti rosa. Erano dieci mazzette da cinquanta fogli l’una, per un totale di duecentocinquantamila euro! La spesa più grande che avessi fatto in vita mia era stato il mio vestito per il matrimonio pagato mille euro, non perché l’avessi voluto comprare io così costoso, ma perché tutti in famiglia avevano insistito. Al resto delle spese per il matrimonio ci avevano pensato le nostre famiglie: io comunque non me le sarei potute permettere. Mi ricordai improvvisamente che non ero andato a lavorare. Se mia moglie lo avesse saputo mi avrebbe cavato gli occhi. Lei si che è una brava donna: nella sua vita non ha mai risposto male una volta a nessuno (a parte me ovviamente), ha fatto sempre quello che le veniva detto dai genitori, a scuola poverina non era una cima, così finita la terza media ha imparato a cucire da sua madre e in questo modo ancora si guadagna i suoi soldi, che sono suoi e non è giusto che li spenda per la famiglia: a quella ci deve pensare l’uomo! Lei ogni giorno mi prepara il borsello con tutto quello che mi può servire durante la giornata, io devo pensare solo alle sigarette e al giornale; certo non è colpa sua se non sa cucinare, quella della cucina è un’arte o ci si nasce oppure niente, ma io non mi lamento mai, se quello che trovo nel borsello non mi piace… lo mangio lo stesso. Pensandoci non so perché ho sposato proprio lei, anzi non so proprio perché mi sono sposato. Bella non lo è mai stata, certo per me è anche troppo, però da quando abbiamo avuto Giasmin è ingrassata parecchio. Il nome della bimba l’ha scelto lei dicendo: “Mi piacciono i nomi esotici, qualsiasi nome sceglieremo però lo dobbiamo scrivere in modo che nessuno si sbagli” ed è venuto fuori questo e tutti chiedono: “Perché è scritto così” e mia moglie da gran signora quale è spiega candidamente anche con un pizzico di superiorità che altrimenti tutti avrebbero sbagliato a scriverlo. Dopo il parto anche solo guardare una pasticceria la fa ingrassare, se fossi nato donna avrei potuto capire davvero quanto soffre la fame per cercare di dimagrire, il fatto è che noi uomini siamo diversi, io per esempio da quando ci siamo sposati ho perso almeno dieci chili. Rimasi in quel bagno per il resto della giornata a pensare: che ne avrei dovuto fare di quei soldi? Non riuscivo proprio a decidermi ad uscire quando sentii una voce lontana che diceva: “Si avvisa la gentile clientela che l’ipermercato chiude tra quindici minuti, siete pregati di avvicinarvi alle casse.” Che notizia sconvolgente: il giovedì l’ipermercato chiude all’una; il mio nascondiglio puzzolente doveva essere abbandonato. Non potevo uscire con tutti quei soldi sicuramente qualcuno li stava cercando e mi avrebbe ucciso per riaverli. Come l’avrei raccontato a mia moglie: mi avrebbe subito dato del ladro e sarebbe morta dalla paura! Decisi di non uscire sperando che nessuno sarebbe venuto a controllare. Mi trovarono dopo due giorni. Mi portarono in ospedale dove restai un paio di giorni con due carabinieri a farmi la guardia fuori dalla porta. Quando mi fui ristabilito mi condussero in caserma per interrogarmi: volevano sapere dove avessi preso tutti quei soldi, io glielo raccontavo, ma loro non volevano credermi e ricominciavamo da capo loro a chiedere ed io a raccontare. Arrivò un appuntato con una notizia per il maresciallo che mi stava interrogando, gli parlò all’orecchio. Il maresciallo lo congedò e si rivolse a me con furia dandomi del bugiardo, dicendo che avevano scoperto tutto, che quel povero bambino non meritava di morire così, e che mi avrebbe sbattuto dentro con gli ergastolani e che ci avrebbero pensato loro a farmela pagare. Stavo impazzendo dalla paura. Mi portarono in una celletta in attesa di trasferirmi in un luogo adatto a me… Lo sapevo che sarebbe finita male: i poveracci come me non cambiano mai la propria vita, sono nato povero e povero dovevo morire e come ho potuto non pensarci prima che i soldi non piovono dal cielo? Ho chiesto carta e penna per scrivere qualcosa a mia moglie, ma ecco questo è tutto quello che sono riuscito a scrivere: qualcosa che sarebbe meglio che non leggesse.

22 MAGGIO 2007 Da “L’Inviato” pagina di cronaca:

Trovato morto nella sua cella, il rapitore e assassino del piccolo Luigi, la causa del decesso è ancora da accertare. Dalle prime rilevazioni degli agenti non ci sono elementi che facciano pensare ad un suicidio, i quali tengono a precisare che non c’è stata violenza da parte delle forze dell’ordine, in quanto l’uomo ha confessato spontaneamente le sue colpe.
Forse il mostro si è reso conto dell’enormità del suo delitto e il suo cuore non ha retto. I genitori che hanno perso il figlio si dicono insoddisfatti: avrebbero preferito vedere l’assassino del loro bambino marcire in carcere.
OceanoDiFuoco89
00sabato 13 giugno 2009 00:14
ciao suncity! il tuo racconto è condotto in modo scorrevole e lascia sempre spazio ad una certa suspance...leggendo la prima parte, dove fai emergere l'attenzione del protagonista al "centesimo", mi aspettavo volessi parlare di quanto sia importante cercare di aggirare in qualche modo quelle piccole spese quotidiane che sommate possono dare una grande cifra; invece ecco il colpo di scena del giornale "obeso", il protagonista che effettivamente ha molti più problemi a gestire una somma enorme (che probabilemte a mente fredda avrebbe desiderato) che gli spiccioli da spendere per la colazione o da risparmiare. mi ha colpito anche il finale, con l'amara ironia dell'articolo pubblicato sullo stesso giornale che ha permesso al protagonista di risparmiare tanto.
nel complesso, si legge molto volentieri [SM=g8051]
[SM=g10429]


Suncity84
00sabato 13 giugno 2009 08:38
Ti ringrazio per lettura e soprattutto per la corretta analisi [SM=g8060]

Ciao [SM=g10429]

Samanta
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