Hildegard von Bingen

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vanni-merlin
00domenica 25 marzo 2007 03:36
Hildegard von Bingen


Ildegarda di Bingen (1098-1179) è una delle scrittrici medievali più famose: filosofa, scienziata, poetessa e musicista, questa figlia della piccola nobiltà tedesca, cresciuta in un monastero benedettino della regione del Reno ha lasciato importanti opere che toccano tematiche teologiche e filosofiche, naturalistiche e mediche. Tre di esse, le più imponenti e, oggi, le più famose, sono scritte nello stile delle ‘rivelazioni’ profetiche: si tratta del Liber Scivias(scritto fra il 1147 e il 1151), del Liber vitae meritorum(1158-1163) e del Liber divinorum operum (1163-1174). L’opera naturalistica, tradizionalmente suddivisa in due libri, Physica (o Liber simplicis medicinae) e Liber causae et curae (o Liber compositae medicinae), è in realtà nominata da Ildegarda nel prologo del Liber vitae meritorum con un unico titolo, Liber subtilitatum diversarum naturarum creaturarum, ed è stata composta negli anni 1151-1158. A questo periodo risalgono anche gli altri scritti, fra i quali spiccano le liriche di contenuto religioso (Symphonia harmoniae revelationum caelestium). Ildegarda componeva anche le musiche per i suoi poemi (esiste oggi una ricca discografia ildegardiana), e scrisse un lavoro teatrale, l’Ordo virtutum.
La Vita, che riporta anche alcuni passi autobiografici, racconta che fin da piccola Ildegarda ebbe l’esperienza di involontarie ‘visioni’, accompagnate da dolorose infermità fisiche; solo dopo che la materna autorevolezza della maestra delle monache, Giuditta di Spanheim, la ebbe aiutata ad accettare tali esperienze queste vennero da lei riconosciute come sorgente trans-personale di una conoscenza profetica di cui essa si riconosceva portatrice per il bene dell’umanità. L’ossatura portante di questo sapere era costituita dalla storia biblica della salvezza e dalla lettura dei ‘segni dei tempi’, finalizzata ad una riforma della società cristiana del suo tempo.

Quando il carattere ‘profetico’ delle sue visioni venne riconosciuto dai due personaggi più eminenti della Chiesa del suo tempo, Bernardo da Chiaravalle e il papa Eugenio III, Ildegarda aveva già superato i quarant’anni: ma è proprio da quel momento che ebbe inizio la sua impressionante attività di scrittrice, di consigliera, di organizzatrice della vita monastica, testimoniata, oltre che dalle opere, da un ampio epistolario. Si procurò un collaboratore, Volmaro, che sarebbe rimasto con lei per moltissimi anni, coadiuvandola nella scrittura delle sue opere. Staccatasi dal monastero di Disibodenberg con le monache di cui era divenuta maestra, dette vita - dietro l’impulso di una visione - alla fondazione di Rupertsberg, che resse come badessa. Le sue liriche, la musica, il teatro, così come alcuni scritti minori sono essenzialmente legate allo svolgersi dell’anno liturgico e agli usi della vita comunitaria, segnata anche da eventi dolorosi: il distacco di una giovane monaca, Riccarda von Stade, che Ildegarda aveva particolarmente amato; l’interdetto che il suo monastero subì, per aver sepolto nel proprio cimitero un giovane nobile scomunicato. Episodi come questi rivelano l’intreccio fra vita monastica e politiche nobiliari, mostrando che all’epoca di Ildegarda vivere in un monastero non equivaleva a ritirarsi dal mondo, ma significava occupare un ruolo sociale ben determinato, importante, accessibile anche a una donna, che poteva in esso ottenere cultura e potere.

Di questi Ildegarda si servì per proporre una visione della natura in cui gli elementi salienti della cultura scientifica del suo tempo si accompagnano alla sua capacità di percepire e mettere in parole la forza della creazione operante negli esseri viventi. Nel complesso possiamo definire il suo pensiero cosmologico e naturalistico come una sintesi originale del sapere tradizionale e di una conoscenza intuitiva della realtà, animata dal senso della perfezione dell’opera divina.

Le opere cosmologiche di Ildegarda di Bingen sono state paragonate ad una basilica romanica, i cui motivi fondamentali, il cerchio e la croce, sono le coordinate del mondo in cui l'essere umano è inscritto. L'origine del suo sapere, la cui articolazione si scandisce sui momenti estremi della storia sacra - la Creazione e l'Apocalisse, avendo come centro l'Incarnazione - è ricondotta da Ildegarda stessa alle visioni che fin dalla prima infanzia, accompagnandosi a malattie fisiche fortemente debilitanti, l'hanno costretta ad una 'diversità' sofferta, ma che è stata la via d’accesso alla consapevolezza di sé e della propria missione profetica. Di questa peculiare modalità di acquisizione del suo sapere Ildegarda dà conto nelle prefazioni del Liber Scivias e del Liber divinorum operum , oltre che in alcuni passi di origine autobiografica della Vita e, con un sguardo retrospettivo sulla sua esperienza, in un testo dell'estrema vecchiaia, la Lettera a Gilberto di Gembloux.
L'insistenza di Ildegarda sulla propria fragilità e inadeguatezza ripete e amplifica un motivo comune nella scrittura femminile. Ma nella cultura monastica l'atto di scrivere, anche da parte degli uomini, generalmente non era il frutto di una iniziativa individuale di chi oggi riconosciamo come l'autore: per potersi dedicare al lavoro intellettuale era infatti necessaria una 'autorizzazione', generalmente presentata negli scritti come la richiesta di un superiore, poiché scrivere non soltanto un'espressione individuale, ma un compito orientato al bene della comunità. Questa modalità di accesso alla scrittura, per quanto possa apparire tortuosa ai nostri occhi, di fatto dava anche alle donne la possibilità di trasmettere il proprio sapere: una Ildegarda di Bingen, che svetta nella cultura del XII secolo, non avrebbe avuto nessuna opportunità nelle università del secolo successivo, popolate solo da uomini ed unico luogo istituzionale di produzione intellettuale. E' vero che per una donna, che si presentava - secondo gli stereotipi dell'epoca - come debole e incolta, era necessaria un'autorizzazione più forte che per gli uomini: ma questa Ildegarda la ottenne presentando le sue visioni come espressione diretta di Dio.
La recezione del messaggio divino da parte di Ildegarda è presentata come l'incontro di una fragile creatura umana col creatore del mondo, con Cristo come Logos cosmico. Le sue visioni non hanno infatti alcun aspetto della mistica nuziale, cui proprio un corrispondente privilegiato di Ildegarda, Bernardo da Chiaravalle, dava negli stessi anni un impulso decisivo nei suoi Sermoni sul Cantico dei Cantici. La sapienza di Ildegarda collega dunque la ricchezza del mondo naturale con la storia della salvezza, parlando agli uomini e alle donne concreti del suo tempo, responsabili della vita propria ed altrui, per guidarli verso il bene. E' questo il compito profetico che Ildegarda si assume, accettando nel loro significato simbolico, oltre alle visioni, le malattie e la percezione della propria fragilità. E poiché il simbolo è un "collegamento operato fra le realtà visibili, per rendere comprensibili quelle che non si vedono" (così lo definisce un contemporaneo di Ildegarda, Riccardo da San Vittore), essa riesce, grazie alle capacità percettive ed intuitive così affinate, ad elaborare una visione d'assieme di tutta la realtà. Nella visione ildegardiana del mondo infatti i contenuti teologici, filosofici, naturalistici, medici, psico-antropologici, desunti da fonti diverse sono compresi unitariamente nel contesto intuitivo delle visioni, anziché sistematizzati dialetticamente, secondo il metodo delle scuole, che si veniva formando in quell'epoca. Ildegarda è dunque filosofa, ma in un senso particolare, diverso da quello che questa parola assume nel contesto scolastico, poiché il suo sapere è quello tradizionale acquisito nell’ambito delle relazioni monastiche.

E' particolarmente interessante rilevare che, come mostrano specialmente le recenti ricerche sulle opere scientifiche di Ildegarda, l'osservazione diretta sia del mondo della natura che dei fenomeni fisiologici e patologici del corpo umano permette, allo stesso modo della convinzione dell'origine divina delle visioni, una rielaborazione così personale dei contenuti della conoscenza da rendere estremamente difficoltosa l'identificazione precisa delle fonti, di cui pure è innegabile la presenza nell'opera ildegardiana. Proprio in questo carattere non scolastico della sua formazione, e nella modalità 'religiosa' del suo sapere che - comunque acquisito - riconosce la propria origine in Dio (cioè in un'istanza infinitamente più grande e sapiente della mente umana individuale) e si organizza a partire da questo riconoscimento, risiede il motivo del suo successo, favorito da Bernardo da Chiaravalle che combatteva strenuamente contro il nuovo sapere delle scuole


da: lgxserver.uniba.it/lei/filmed/ildegard/ilde4/pereira4.htm

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