Contratto di viaggio e penali

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cicolex
00giovedì 3 luglio 2003 11:21
Il viaggiatore che rinunci al viaggio perde la caparra solo a condizione che, anche nel caso di recesso del tour operator, quest'ultimo restituisca il doppio dell'anticipo ricevuto.

Un'Associazione di Consumatori ha ottenuto dal Tribunale di Palermo una sentenza "inibitoria" contro un tour operator con la quale si è vietato l'uso di condizioni di contratto che prevedevano, fra l'altro, la perdita di quote consistenti delle somme versate in caso di rinuncia al viaggio.

La previsione di penali via via crescenti all'avvicinarsi della data del viaggio, in caso di recesso del turista, è comune nei contratti per la vendita di pacchetti turistici. Il D. Lgs 111/1995, che regola tali contratti, prevede, tra l'altro, che le condizioni di vendita debbano indicare chiaramente l'ammontare dell'importo da versare a titolo di caparra.

Il Tribunale ha però stabilito che il fatto che la legge preveda la possibilità della caparra non significa che l'esistenza di una caparra sia sempre e comunque lecita. Infatti valgono le regole generali in materia di clausole abusive, e fra queste l'art. 1469 bis, 3° comma, n. 5) del Codice civile che considera abusiva, e quindi non utilizzabile, la clausola con la quale si stabilisca che il consumatore perda le somme versate in caso di recesso mentre non sia previsto in caso di recesso del professionista (cioè, in questo caso, il tour operator) l'obbligo di restituire il doppio della caparra ricevuta. Le condizioni di contratto esaminate dal Tribunale, infatti, prevedevano, in caso di annullamento della prenotazione da parte dell'operatore per "qualsiasi ragione", solo l'obbligo di restituire le somme versate entro 7 giorni lavorativi, con l'esclusione di ogni ulteriore esborso a carico del tour operator. Questo squilibrio fra la posizione del consumatore e quella del professionista è stato ritenuto vessatorio e la clausola penale, pertanto, dichiarata inapplicabile.

Altre clausole che sono state considerate invalide sono state quelle che obbligavano il consumatore a scegliere il Tribunale ove aveva sede il Tour Operator, in caso di contestazioni (abusiva ex art. 1469bis, 3° c. n. 19) e quella che prevedeva che gli alberghi offerti nel catalogo, in assenza di classificazioni ufficiali, venissero classificati sulla base di criteri scelti unilateralmente e discrezionalmente dal tour operator (abusiva ex art. 1469bis, 3° c., n. 14).

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