Contratto di vendita: rinvio per la determinazione del prezzo a norma poi mutata

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Commissario Maigret
00venerdì 2 aprile 2004 08:47
Qualora le parti, nel concludere un contratto di compravendita, abbiano fatto riferimento per la determinazione del prezzo al contenuto di una norma di legge regolatrice di tale prezzo, occorre individuare quale tipo di rinvio, fisso o mobile, esse abbiano inteso effettuare; con la conseguenza che, solo se si tratta di rinvio mobile, il contenuto negoziale resta esposto alle vicende modificative ed estintive della norma richiamata.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza 4 febbraio 2004 n. 2111, precisando che in mancanzain mancanza di specificazione il rinvio deve ritenersi fisso e perciò il contenuto della norma viene definitivamente recepito nella dichiarazione negoziale, divenendone elemento stabile e immutabile, insensibile alle vicende della norma stessa, sopravvenute dopo la conclusione del contratto.

Commissario Maigret
00venerdì 2 aprile 2004 08:48
Cassazione
Sezione seconda civile
Sentenza 4 febbraio 2004, n. 2111

(Presidente e relatore Elefante)

Svolgimento del processo


Con atto di citazione 7 luglio 1993, il Comune di Roma proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo (12033/93), emesso il 28 maggio 1993 dal Presidente del Tribunale, con il quale gli era stato ingiunto il pagamento in favore dell’Edil Laurenthia ‘72 spa della somma di lire 7.464.404.113, oltre Iva ed accessori, quale residuo importo della vendita di un complesso immobiliare. Deduceva l’opponente Comune che la compravendita in questione era stata conclusa per un importo superiore a quello imposto dalla legge 899/86; che la pattuizione contrattuale riguardante la individuazione del prezzo della compravendita doveva, perciò, essere ritenuta nulla e che il prezzo concordato doveva automaticamente sostituirsi, in virtù del combinato disposto degli articoli 1339 e 1419 Cc, con quello predeterminato dalla indicata normativa; che avendo provveduto al pagamento dell’importo così individuato, esso Comune non era tenuto ad alcun ulteriore esborso.

Costituitasi, la società Edil Laurenthia ‘72 deduceva l’infondatezza dell’opposizione.

All’esito dell’istruttoria, il Tribunale di Roma rigettava l’opposizione, confermava il decreto ingiuntivo e condannava il Comune al pagamento delle spese processuali.

Il gravame proposto dal Comune era rigettato dalla Corte d’appello di Roma, la quale, con la sentenza (90/2002) ora impugnata, osservava che la norma invocata dal Comune, cioè l’articolo 5 comma 8 del Dl 708/86, convertito dalla legge 899/86, in forza del quale il prezzo di acquisto degli alloggi «non può superare il valore locativo calcolato con i criteri previsti dagli articoli da 12 a 24 della legge 392/78», era stato abrogato dall’articolo 13 della legge 136/99. Da ciò discendeva che, al momento della decisione, la norma invocata dal Comune a sostegno delle proprie ragioni (secondo le quali il prezzo andava determinato in £. 13.142.033.946, alla stregua del suddetto articolo 5, con riferimento all’anno di fine lavori 1980, e non in £. 20.606.438. 029, come indicato in contratto in base al verbale della Commissione Stime che erroneamente aveva considerato quale data di fine lavori il 1988) non esisteva più, per cui non poteva essere fatta valere, perché secondo consolidata giurisprudenza, in presenza di successione fra più leggi in pendenza di giudizio, deve aversi riguardo a quelle da cui il rapporto é regolato al momento della decisione, essendo lo jus supervenies rilevabile anche d’ufficio. Pertanto, in base alla sopravvenuta abrogazione della normativa invocata dal Comune, la Corte d’appello concludeva per la legittimità dell’impugnato contratto di compravendita, non essendo il prezzo soggetto a vincoli.

Contro tale sentenza il Comune di Roma ha proposto ricorso per cassazione in base a due motivi, illustrati da memoria.

La società Edil Laurenthia ‘72 ha resistito con controricorso.


Motivi della decisione


Col primo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione dei principi generali in ordine alla successione delle leggi nel tempo, nonché violazione e falsa applicazione dell’articolo 11 delle preleggi (articolo 360 n. 3 Cpc), il ricorrente censura la sentenza impugnata per aver erroneamente ritenuto non applicabile la normativa di cui all’articolo 5 della legge 899/86 perché abrogata per effetto dello jus supervenies. Sostiene il ricorrente che il limite della irretroattività delle leggi costituisce principio generale dell’ordinamento giuridico, che il legislatore deve applicare per la certezza dei rapporti giuridici (come da decisione del Consiglio della Giustizia amministrativa Sicilia, 529/97); mentre (secondo Cassazione 677/98 e 7905/96) la retroattività della legge ha carattere eccezionale, sicché la volontà del legislatore di attuarla, ove non sia espressamente affermata dalla medesima legge abrogatrice, può essere ritenuta solo ove il significato della norma sia letteralmente incompatibile con la normale destinazione della legge a disporre esclusivamente per il futuro.

Col secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio (articolo 360 n. 5 Cpc).

Assume il ricorrente che la Corte d’appello avrebbe sostanzialmente motivato per relationem, citando sentenze di questa Corte che sarebbero assolutamente inconferenti e non idonee a regolare il caso di specie, allorché ha stabilito l’efficacia retroattiva di una norma.

I due motivi da trattare congiuntamente, perché strettamente connessi, sono fondati nei limiti che seguono.

La vicenda può essere cosi riassunta: al fine di determinare il prezzo d’acquisto di un immobile, le parti di un contratto di compravendita richiamano una norma legislativa. Questa, decorso un certo periodo di tempo dalla conclusione del contratto, viene abrogata.

La questione da affrontare è quale influenza ha sulla validità e sull’efficacia del contratto l’abrogazione della norma richiamata, di cui una delle parti chiede l’applicazione, essendo stato il prezzo quantificato, per mero errore, in maniera difforme da quanto indicato dalla legge richiamata.

L’impugnata sentenza ha risposto nel senso della soggezione del negozio alle vicende della norma legislativa: la sua abrogazione comporta che il contratto non è più regolato da essa e, quindi, il prezzo non è soggetto a vincoli. Ha giustificato tale soluzione richiamando principi, non del tutto attinenti alla fattispecie, relativi alla successione fra più leggi in pendenza di un giudizio e alla rilevabilità dello jus superveniens.

La soluzione non può essere condivisa.

Il richiamo, contenuto nella clausola concernente la quantificazione del prezzo, alla norma di cui al n. 8 dell’articolo 5 del Dl 708/86, convertito con modificazioni, dalla legge 899/86 («Il prezzo di acquisto ... non può superare il valore locativo calcolato con i criteri previsti dagli articoli da 12 a 24 della legge 392/78») dà luogo ad una ipotesi di negozio per relationem, cioè a quella figura di negozio nel quale le parti fanno riferimento, per la determinazione di una porzione del contenuto negoziale, ad elemento esterno che può consistere tanto in un atto normativo o in un atto amministrativo (avente o meno natura di provvedimento), quanto in un atto di autonomia privata posto in essere dalle stesse parti o da un terzo.

La relatio, nell’ipotesi in cui l’elemento richiamato dalle parti per integrare il contenuto precettivo della loro dichiarazione negoziale sia una norma contenuta in una legge o in un atto avente forza di legge, pone il problema del perché le parti hanno fatto riferimento ad una fonte esterna, qualora non si tratti di clausola inserita per legge nel contratto, e in che modo si attua tale integrazione ab extra del contenuto precettivo della dichiarazione volitiva negoziale (relatio in senso sostanziale).

Ed, in effetti, mediante la relatio le parti possono effettuare un rinvio fisso o un rinvio mobile alla norma richiamata. Nel primo caso il contenuto della norma (lì ed allora esistente) viene recepito nel contenuto del negozio, divenendone elemento integrante, stabile e costante; il che importa che, avendo il contenuto della norma richiamata lo stesso valore negoziale delle altre clausole direttamente formulate dalle parti, le vicende della medesima norma, successive alla conclusione del negozio, non spiegano alcuna influenza sul contenuto di quest’ultimo, salvo che le parti - con una successiva manifestazione, eventualmente anche tacita, di volontà - non intendano tenerne conto, con effetto dal momento della nuova dichiarazione negoziale, per modificare il contenuto del negozio da esse concluso. Nel secondo caso la norma, pur chiamata ad integrare le determinazioni delle parti, resta tale, esposta alle vicende modificative ed estintive che accompagnano tutte le norme: essa è bensì necessaria alla completezza del negozio, ma non perde la propria qualità originaria e conserva il suo valore legislativo.

Il rinvio fisso determina una volta per sempre il contenuto del negozio ed è invulnerabile: il testo della norma (potrebbe meglio dirsi: quel testo linguistico utilizzato dal legislatore) entra definitivamente nel negozio, dimentico dell’origine e dell’antica qualità. Il rinvio mobile introduce una nota di fluidità e variabilità: le vicende specifiche della fonte esterna determinano variazioni del testo negoziale, che andrà dì volta in volta ricomposto e ricostruito. E nulla esclude che, modificata o estinta la fonte esterna, il negozio si riveli incompleto o lacunoso, invalido o inefficace.

L’abrogazione (al pari della sopravvenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale) della norma, nel caso di rinvio fisso, non spiega, di per sé, alcuna efficacia sul rapporto, sia esso esaurito o ancora pendente, sorto dal negozio, potendo influire sulla disciplina negoziale dello stesso rapporto solo se (e dal momento in cui) le parti intendano modificarla per adeguarla alla nuova disciplina normativa risultante dall’abrogazione (o dichiarazione di illegittimità costituzionale) della norma richiamata. Nel caso, invece, di rinvio mobile, le vicende specifiche della norma (abrogazione o illegittimità costituzionale) determinano, al contempo, variazione del testo negoziale: in particolare il rinvio perde il punto esterno di riferimento e così il negozio, da completo che era, degrada a lacunoso ed imperfetto.

Pertanto, diversamente da quanto affermato dalla Corte di merito, non è possibile ritenere che l’abrogazione dell’articolo 5 n. 8 del Dl 708/86 (convertito con modificazioni, dalla legge 899/86) ad opera dell’articolo 13 della legge 136/99 ha comportato un’automatica variazione del testo negoziale, per inoperatività del rinvio, essendo venuta meno la fonte richiamata, senza spiegare che le parti con la relatio avevano inteso effettuare un rinvio mobile alla norma richiamata, escludendo l’ipotesi del rinvio fisso.

Non v’è dubbio che stabilire se si è in presenza di un rinvio mobile o fisso attiene all’interpretazione del negozio e, dunque, ad un giudizio ricostruttivo riservato al giudice di merito e solo entro dati limiti sindacabile in sede di legittimità.

Ma nel caso specifico tale giudizio non c’è stato e la Corte di merito ha ritenuto che, una volta abrogata la norma richiamata dalle parti, il testo negoziale era automaticamente variato.

Spetta all’interprete, qualora le parti si restringano al semplice richiamo della fonte esterna, senza precisare se essa è assunta come dato costante e invariabile o come dato mutevole, esposto alle vicende del suo proprio ordine, qualificare il rinvio come fisso o mobile. Tenendo presente che il rinvio mobile presuppone una ‘volontà’non definitiva delle parti, le quali amerebbero correre il rischio di un testo fluido e variabile; sicché il rinvio mobile esige anche il riferimento alle variazioni successive della fonte esterna e, dunque, non può ritenersi compreso nel semplice richiamo di essa. Conseguentemente per l’adozione del rinvio mobile occorre una chiara ed esplicita scelte delle parti. In mancanza la relatio non può andare al di là della fonte data (lì ed allora esistente).

Pertanto, qualora le parti, nel concludere un contratto di compravendita, abbiano fatto riferimento per la determinazione del prezzo al contenuto di una norma di legge regolatrice di tale prezzo (nella specie, l’articolo 5 n. 8 del Dl 708/86, convertito con modificazioni, dalla legge 899/86), occorre individuare quale tipo di rinvio, fisso o mobile, esse abbiano inteso effettuare; con la conseguenza che, solo se si tratta di rinvio mobile, il contenuto negoziale resta esposto alle vicende modificative ed estintive della norma richiamata; in mancanza, dovendo il rinvio ritenersi fisso, il contenuto della norma viene definitivamente recepito nella dichiarazione negoziale, divenendone elemento stabile e immutabile, insensibile alle vicende della norma stessa, sopravvenute dopo la conclusione del contratto.

Ai fini della individuazione dell’area di operatività della norma richiamata, i giudici di merito avrebbero dovuto, quindi, interpretare la relativo, spiegare il tipo di rinvio, se mobile o fisso, e trarre le dovute conseguenze per la determinazione del prezzo d’acquisto degli immobili.

L’accoglimento, per quanto di ragione, del ricorso comporta la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio della causa ad altra sezione della stessa Corte di appello di Roma, che si atterrà ai principi sopra esposti e provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione, facendone questa Corte espressa rimessine (articolo 385, ult. cpv, Cpc).

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Roma, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione

[Modificato da Commissario Maigret 02/04/2004 8.51]

[Modificato da Commissario Maigret 02/04/2004 8.53]

[Modificato da Commissario Maigret 02/04/2004 8.53]

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