Arte africana magia della terra

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vanni-merlin
00sabato 6 ottobre 2007 21:07
Arte africana magia della terra

Le nuove tendenze in dipinti, foto e sculture


FRANCESCO POLI

TORINO
«Why Africa?» è il titolo leggermente ironico di questa mostra che inaugura una nuova strategia espositiva più vitale e imprevedibile (incentrata su esposizioni di collezioni private di particolare interesse) negli spazi della Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli. «Why not?» è la risposta ovvia. Niente di meglio che iniziare con l'arte africana contemporanea, forse lontana dalla tradizione del Lingotto, ma di estrema attualità. Dunque una scelta intelligente, ormai peraltro ampiamente legittimata all'interno del sistema dell'arte contemporanea, coinvolto anch’esso dal processo di globalizzazione. Il merito specifico di questa esposizione è anche, in un certo senso, storico-documentario, perché viene qui proposta un'accurata selezione di opere di un collezionista, Jean Pigozzi, che è stato uno dei primi ad interessarsi seriamente di un genere d'arte considerata per troppo tempo marginale.

L'inizio di questa collezione risale al 1989, anno in cui a Parigi (al Centre Pompidou e a la Villette) Jean-Hubert Martin con la collaborazione di André Magnin, presentò la pionieristica e spiazzante mostra «Les Magiciens de la Terre», che con grandi polemiche aprì la strada alla legittimazione di una creatività a 360 gradi. Ed è proprio Magnin, curatore della collezione Pigozzi, e amico di tutti gli artisti, che ha fatto le scelte e ha messo a punto il percorso espositivo, allestito da Ettore Sottsass. Il curatore ha scelto soltanto sedici nomi: da un lato alcuni autori ormai famosi come Frédéric Bruly Bouabré, Bodys Isek Kingelez, Chéri Samba, George Lilanga, Romuald Hazoumé e i fotografi Seydou Keita e Malick Sidibé; e dall'altro lato artisti, anche giovani, come Bodo, Chéri Cherin, Dakpogan, Mabota, Mansaray, Onyango e Tschindele. Ognuno di essi ha una sala a disposizione che consente di vedere al meglio i dipinti, le sculture, le installazioni e le fotografie. Ed è giusto iniziare da queste ultime. E cioè dalla straordinarie immagini in bianco e nero di Sidibé e Keita che, soprattutto come ritrattisti, mettono a fuoco con una nitidezza estetica visiva (ma anche sociologica) incredibile lo spaccato della società del loro paese (il Mali) a partire dagli anni'50. Keita purtroppo è morto ma Sidibé ha avuto la grande e soddisfazione di ricevere giustamente anche se inaspettatamente, come lui stesso mi ha detto, il Leone d’oro alla carriera della Biennale di Venezia. La bellezza, in un certo senso assoluta, di queste foto, penso, stia nel fatto che ai nostri stanchi occhi occidentali appaiono come delle immagini che riescono ancora a cogliere e trasmettere visivamente la «metafisica dell'istante», e cioè riescono a fissare l'essenza profonda dell'esistenza individuale e collettiva di una società, in una fusione «magica» fra l'immediata dimensione fenomenologica e quella della specifica memoria culturale.

Diversa, anche se sempre affascinante, è l'impatto con la produzione pittorica e plastica, perché in questi casi la tradizione artigianale ha il suo peso, in particolare in certe sculture (per esempio quelle in terracotta, con matrici ancestrali, dell'unica donna del gruppo, la senegalese Seni Awa Camara). Ma l'energia contraddittoria e perciò estremamente stimolante, fra tradizione e contemporaneità glocal (global + local) caratterizza il lavoro della maggior parte degli artisti, in particolare dal punto di vista dell'iconografia pittorica e da quello dei materiali utilizzati per i lavori scultorei costruiti con materiali usati della produzione industriale. I pittori come l'ormai ben noto congolese Chéri Samba, ma anche come i conterranei Chéri Chérin e Bodo, e il keniano Onyango, mettono in scena una colorata figurazione pittorica di carattere esplicitamente narrativo ma, allo stesso tempo, carica di valenze e suggestioni fantastiche e surreali, incentrata comunque sempre su temi sociali e politici di tragica attualità locale e anche mondiale.

Sono dipinti che affrontano questi temi con grande serietà ma anche con un peculiare humour non si sa quanto condizionato da un atavico fatalismo. Sorprendenti, e anche stranamente inquietanti sono, per esempio, grandi dipinti come quello quasi apocalittico di Chéri Cherin intitolato Che cosa ci riserverà il XXI secolo?, con una sorta di dea-madre che sta per partorire un nuovo mondo, oppure quello di Onyango che ci mostra un grande aereo passeggeri sprofondato nel mare. Tra i lavori che possono rientrar nella categoria delle sculture, ci sono soprattutto quelli realizzati con elementi direttamente prelevati dalla realtà quotidiana. Le opere più interessanti sono da un lato quelle di Hazoumé del Benin (presente anche alla Documenta !2 di Kassel) che mette in scena un decrepito triciclo-Vespa con dieci tanniche agganciate ai lati (quella vera di trasportatori di benziana), e dall'altro del congolese Kingelez ormai conosciuto per le sue caotiche e fantasmagoriche città in miniatura costruite con poveri materiali di recupero.In ogni caso il lavoro forse più singolare e concettualmente raffinato è quello di enciclopedica estensione di Bouabré (della Costa d'Avorio), amico di Boetti, che nella lunghissima sequenza di disegni dedicati alla Conoscenza del Mondo dimostra addirittura una vera capacità profetica. Uno di questi disegni, infatti, che raffigura Ratzinger ha come commento scritto: in funzione di cornice quanto segue: «Cardinal Ratzinger. La sosie (proprio così) de Jean Paul II?»




da: www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/arte/grubrica.asp?ID_blog=62&ID_articolo=633&ID_sezione=117&sezi...

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